Maurizio Belpietro per “Libero quotidiano”
LA VERITA BELPIETRO
A Palazzo Chigi c’è un uomo che ha bisogno di aiuto. Non lo dico io, lo ha spiegato l’altra sera in tv, durante la puntata della Gabbia , il collega Paolo Mieli. Secondo l’ex direttore del Corriere della Sera il presidente del Consiglio è un uomo che ha perso la trebisonda. Riporto lo stenografico dell’intervento perché credo sia utile per capire che cosa stia succedendo e soprattutto in quale psicodramma sia stato trascinato il Paese: «So una cosa per esperienza di osservatore di tanti anni. Che quando uno diventa presidente del Consiglio viene circondato da tutte persone che tendono a dargli ragione. Bravo, tu sei forte, vai bene. E poi vede un giorno la Merkel, un giorno Obama.
RENZI E LA SCONFITTA NEL REFERENDUM
A un certo momento l’Ego si ipertrofizza e gli rende impossibile vedere le cose che vedo io. Quasi tutti i presidenti del Consiglio, tranne due o tre, cominciano a dire dei loro rapporti internazionali, che sono veramente amici degli altri capi di Stato, e quindi pensano che è stato un inciampo (la sconfitta elettorale, ndr) e adesso torneranno subito. Ecco, se così fosse anche per Renzi, io confido nei suoi famigliari, nelle persone più strette…».
RENZI E LA SCONFITTA NEL REFERENDUM
«Qualcuno che lo aiuti?» chiede a Mieli il conduttore della trasmissione, Gianluigi Paragone. Risponde l' ex direttore: «Che lo prendano da parte e gli dicano: guarda, renditi conto...». «Torna con i piedi per terra», dice ancora Paragone. Replica definitiva di Mieli: «No, di più: torna con i piedi a casa».
Certo, l' ex numero uno di via Solferino non è il Vangelo e nemmeno la Gazzetta ufficiale e pur tuttavia è uno degli uomini che più stanno dentro il potere. Da una vita frequenta quelli che contano in politica e nella finanza, al punto che Gianni Agnelli lo fece direttore prima della Stampa e poi del Corriere per avere in anticipo le informazioni.
RENZI E LA SCONFITTA NEL REFERENDUM
Diciamo che è il crocevia di mille notizie e di mille trame, dunque se esordisce dicendo di aver cambiato idea nei ultimi due o tre, anzi dieci giorni, e se critica il discorso del segretario del Pd, aggiungendo che gli sembra un comportamento suicida, di un uomo non all' altezza del momento solenne, testimonia non solo di aver mollato Renzi, ma anche che ad abbandonarlo al suo destino sono quei circoli da sempre influenti nel nostro Paese.
Da uomo solo al comando il presidente del Consiglio si è trasformato in un uomo solo allo sbando. Un premier asserragliato nel bunker che fatica a rendersi conto di dover gettare la spugna. Dicono le cronache che ancora nel pomeriggio di ieri, al telefono, il Rottamatore non si rendeva conto di essere stato rottamato dagli elettori e non si capacitava di aver perso il potere.
matteo renzi dopo il referendum
Agli interlocutori ancora dettava la linea, convinto di essere nelle condizioni di dare ordini a un presidente della Repubblica da lui nominato. In sua sostituzione Renzi vede solo Paolo Gentiloni, ovvero qualcuno che non gli faccia ombra nemmeno alle suole delle scarpe. Il ministro degli Esteri - che Indro Montanelli avrebbe ribattezzato con lo stesso soprannome da lui inventato per un collega molto british, ossia Cipria - per lui sarebbe perfetto perché impalpabile.
matteo renzi dopo il referendum
Renzi vorrebbe il responsabile della Farnesina con a fianco Luca Lotti e magari pure Filippo Sensi. Un governo fotocopia messo a Palazzo Chigi a scaldare la sedia e a curare gli affari e l' immagine del capo. Dopo di che, elezioni il 25 marzo. Le telefonate del leone ferito si concludono tutte alla stessa maniera: «Devono capire che l' ultima parola spetta a me». Travolto da un insolito destino nel pieno del suo delirio di potere, Renzi non si arrende. Pensa ancora di avere carte da giocare. Chiuso nel fortino, già abbandonato dai poteri forti, mentre quelli deboli ancora esitano per paura che possa risorgere, il premier dimissionario medita un ritorno e molte vendette.
matteo renzi dopo il referendum
Storia triste, anzi tragica di un piccolo borghese. Se non ci fosse di mezzo un Paese, il suo futuro, ci sarebbe da ridere. O forse da piangere. Di certo se va avanti così ci sarà da chiamare la forza pubblica per farlo sloggiare.