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    LA VERITÀ, VI PREGO, SULLE BANCHE ITALIANE - BELPIETRO: “RENZI CI VUOLE SPIEGARE CHE COSA STA SUCCEDENDO AL NOSTRO SISTEMA BANCARIO? È MESSO COSÌ MALE DA DOVERGLI DARE IN PEGNO ANCHE I DIRITTI DI PROPRIETÀ? IL SISTEMA NON È LIMPIDO NE' VIGILATO, NON OFFRE GARANZIE AGLI INVESTITORI. E AL FONDO ATLENTE I SOLDI NON BASTANO”


     
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    Maurizio Belpietro per “Libero quotidiano”

     

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    Invece di salmodiare un giorno sì e l'altro anche sulle riforme costituzionali, con le quali non mi risulta si mangi, per lo meno se non si siede in Parlamento o non si fa parte della ristretta cerchia di quelli che con queste chiacchiere oltre alla bocca riempiono il portafogli, sarebbe ora che qualcuno con responsabilità di governo si decidesse a raccontarci qual è la situazione delle banche italiane.

     

    Non per fare terrorismo finanziario e neppure per insinuare il dubbio che i nostri conti correnti siano a rischio, ma siccome non passa giorno che dagli sportelli nazionali non arrivi una cattiva notizia, forse è giunto il momento di chiarire come stanno le cose. Gli ultimi due fatti in ordine di tempo non sono proprio tranquillizzanti.

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    Il primo riguarda le dichiarazioni del presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi, tal Salvatore Maccarone. Il signore in questione in un intervento durante una riunione dell' Abi ha semplicemente annunciato che il fondo creato per salvare le banche non ha più il becco di un quattrino. Quello che aveva in cassa è stato praticamente prosciugato dal salvataggio di Banca Etruria e delle altre tre banche fallite nello scorso ottobre.

     

    L' autorevole funzionario - uomo che può vantare anni al servizio di Banca d' Italia - ha in pratica spiegato che «sul piano prospettico la situazione non appare incoraggiante». Tradotto: se qualche altro istituto di credito si trovasse in difficoltà, il fondo non disporrebbe delle risorse per intervenire e dunque esiste «la prospettiva concreta che la crisi di una banca si risolva con la sua liquidazione». Parole chiare, cui però non ne sono seguite altre rasserenanti, ma semmai allarmanti.

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    Mps, l' istituto senese che da quattro anni si dibatte in una crisi nera dovuta a operazioni finanziarie sbagliate, ha annunciato un piano di ristrutturazione che prevede la chiusura di 350 sportelli e il licenziamento di 2500 persone. Una cura da cavallo, che il mercato finanziario ha accolto con favore, come sempre fa quando si tagliano i costi di un' azienda allo scopo di migliorarne i risultati.

     

    Ma certo un brivido è corso lungo la schiena dei dipendenti e forse anche di qualcun altro.

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    Tutto ciò mentre si rincorrono notizie sulla Popolare di Vicenza, sul salvataggio del Fondo Atlante e sulla mancata fiducia degli ex azionisti della banca. E nel frattempo a Veneto Banca va in scena un ribaltone, con i vertici mandati a casa da una nuova lista di amministratori, i quali dopo i guasti degli anni passati promettono di fare tornare i fasti.

     

    Sarà, ma tutti questi giri di valzer con i soldi degli altri, tutte queste fusioni a freddo, avvengono più che sotto il segno della trasparenza, delle informazioni ai piccoli investitori e al mercato, sotto il segno dell' opacità, con centinaia di migliaia di persone ridotte sul lastrico. L' Italia non è il solo Paese dove si registrano crac bancari, ma probabilmente è il numero uno per quantità di crac.

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    Nel corso degli anni abbiamo dovuto registrare una quantità di scandali mai vista altrove, con prezzi delle azioni gonfiate e crediti concessi non alle aziende più promettenti, ma a quelle che promettono ai vertici degli stessi istituti di credito di rimanere a galla. Il sistema non è limpido, non è vigilato, non offre garanzie agli investitori e questo è un fatto che l' Italia e i correntisti stanno pagando a caro prezzo.

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    Ribadisco. Si parla molto di riforma della Costituzione e di abolizione del Senato, quasi nulla invece si dice su una riforma che inciderà pesantemente sul rapporto tra banche e imprese. Ad esempio sul famoso strumento di garanzia introdotto dal decreto del 3 maggio scorso dal governo, con cui si introdurrà un paracadute per gli istituti di credito, ossia un pegno che sarà possibile escutere dopo solo tre rate non pagate.

     

    Così le banche saranno più tutelate e avranno meno crediti incagliati, ma la ricaduta potrebbe essere devastante sia sul fronte delle piccole imprese sia su quello occupazionale. Provate a immaginare: un' impresa in difficoltà ritarda di versare la rata di un finanziamento per tre volte in un anno. E l' istituto di credito per tutta risposta mette all' asta il capannone dell' azienda.

     

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    Oppure: l' azienda contesta un mandato di pagamento emesso dall' agenzia bancaria. E quest' ultima reagisce vendendo il bene aziendale. Il legislatore spiega che il nuovo strumento avrà valore solo per i nuovi contratti e comunque dovrà essere concordato fra le parti. Vero. Ma se l' istituto minaccia di togliere il fido nel caso non si sottoscriva la clausola che concede in garanzia i beni aziendali senza passare dal giudice, che cosa succederà secondo voi? Ve lo dico io. L' azienda sottoscriverà la clausola capestro.

     

    veneto banca assemblea soci veneto banca assemblea soci

    E a questo punto? Alla prima difficoltà, la banca incasserà il pegno e tanti saluti ai suonatori. Anzi: ai lavoratori, perché il diritto della banca viene prima di quello dei dipendenti. Io non dico che non sia giusto sveltire le procedure per mettere all' asta i patrimoni di una società fallita o in fallimento. Ma così forse è troppo. E allora torno alla domanda iniziale: qualcuno a Palazzo Chigi ci vuole spiegare che cosa sta succedendo al nostro sistema bancario? È messo così male da dovergli dare in pegno anche i diritti di proprietà?

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