Estratto dell'articolo di Maurizio Belpietro per “La Verità”
maurizio belpietro
Anni fa, quando per la prima volta divenni direttore di Panorama, Adriano Sofri ebbe il buon gusto di rinunciare alla rubrica che da oltre dieci anni teneva sul settimanale. Gliela aveva offerta Giuliano Ferrara come una sorta di «risarcimento», dopo che l’ex capo di Lotta continua era stato condannato per l’omicidio Calabresi. Ma se nel 2007, facendosi da parte, Sofri dimostrò una certa decenza, altrettanto non si può dire dell’articolo che egli ha scritto ieri sul Foglio.
La questione riguarda i terroristi rossi di cui la Cassazione francese ha negato l’estradizione in Italia. Già dal sommario ho capito dove il fondatore del gruppo di estrema sinistra avesse intenzione di andare a parare. Infatti, invece di parlare di 40 anni di latitanza dei suoi compagni, l’articolo dell’ex capo di Lc ha fatto riferimento a «40 anni di accanimento», lasciando intendere che almeno dalla metà degli anni Ottanta il gruppo che si rifugiò in Francia per sottrarsi alla giustizia sia stato perseguitato.
adriano sofri lotta continua
In realtà, niente di tutto ciò è avvenuto e lo dimostra proprio il caso di Giorgio Pietrostefani, uno dei condannati di cui l’Italia reclamava l’estradizione. Costui è da sempre un amico di Sofri. Si sono conosciuti negli anni Sessanta e insieme fondarono Lotta continua, la più dura delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare. Nell’88, con un ritardo di 16 anni, entrambi furono accusati di essere stati i mandanti dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi, ucciso a Milano da un commando di estremisti rossi.
Il processo durò a lungo e quando nel 2000 giunse a una sentenza definitiva di condanna, colui che comandava il servizio d’ordine di Lotta continua fuggì, riparando in Francia e invocando la cosiddetta dottrina Mitterrand, quella che a lungo ha protetto i terroristi italiani tra cui, lo ricordo, Cesare Battisti. Al pari del fondatore dei Pac, proletari armati per il comunismo, anche Pietrostefani si è sempre proclamato innocente, ma a lui, ancor più che con Battisti (che alla fine, dopo essere arrestato, ha ammesso le proprie colpe), la giustizia italiana ha offerto non l’accanimento, ma un equo processo.
maurizio belpietro la verita
Infatti, il caso Sofri Pietrostefani è stato affrontato e valutato in ben nove gradi di giudizio, due dei quali di revisione. A memoria non ricordo un procedimento che, oltre a trascinarsi per circa 15 anni, sia stato rivisto e ridiscusso in una diversa Corte d’Appello. Altro che «inseguimento irragionevole», come ha scritto Sofri: ai capi di Lotta continua è stato riservato un giusto processo, lasciando libero Pietrostefani di darsi alla fuga. Ma la parte più incredibile dell’articolo dell’ex leader di Lc, trasformato per meriti carcerari in editorialista (la definizione non è mia ma di Massimo Fini), è costituita dalla domanda nell’incipit: ma se ve li avessero dati, se cioè la Francia avesse consegnato i dieci terroristi (pardon, lui li chiama ex militanti), poi che ve ne sareste fatti?
sofri bompressi pietrosetefani
La risposta è semplice, anche se non tocca a me: avremmo fatto la stessa cosa che abbiamo fatto con Battisti, la cui latitanza è stata protetta per anni dal culturame di sinistra, ma quando ha messo il piede fuori dal Brasile, dove si era nascosto dopo essere fuggito dalla Francia, è stato arrestato e ora sta scontando in un carcere italiano la pena per gli omicidi che ha commesso. Sofri poi dà fiato ai contenuti della sentenza con cui i giudici francesi hanno respinto la richiesta di estradizione in Italia.
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adriano sofri
Ovviamente nessuno si chiede, nemmeno l’ex fondatore di Lotta continua, se il diritto al rispetto della vita privata e familiare di un terrorista sia comparabile con quello di Luigi Calabresi e dei suoi familiari. Nessuno si interroga, nemmeno Sofri, sul perché quel diritto alla vita privata e familiare sia stato negato a un funzionario dello Stato che non aveva colpe se non quella di essere il perfetto capro espiatorio di una banda armata composta da giovanotti annoiati e imbevuti di ideologia marxista.
Quasi vent’anni fa, per conto di Canale 5, entrai nel carcere di Pisa e intervistai Sofri rileggendogli le frasi che lui e il suo giornale avevano scritto a proposito di Calabresi. Il giorno prima dell’assassinio del commissario, il quotidiano era uscito con la seguente frase: «Per ammazzare il porco ci vuole la calibro 38 special». Il giorno dopo l’agguato, compiuto proprio con una 38 special, Lotta continua esultò: «L’uccisione di Calabresi è un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia».
commissario luigi calabresi
Che effetto le fa risentire queste parole, gli chiesi. «Pessimo», mi rispose. Ma quando gli domandai se avesse mai chiesto perdono alla vedova di Calabresi, se la cavò parlando di sobrietà e un invito a usare con cautela le parole: «La parola perdono», mi disse, «è di quelle che bisognerebbe evitare con ogni cura». No, non sono stati quarant’anni di accanimento, ma quarant’anni di impunità. Anche intellettuale.
adriano sofri - lotta continua mario calabresi Giorgio Pietrostefani adriano sofri adriano sofri foto di bacco adriano sofri, il suo avvocato massimo di noia e giorgio pietrostefani