1 - COM'È DIFFICILE ESSERE FIGLIO DI BENEDETTA BARZINI
Egle Santolini per “la Stampa”
benedetta barzini
«Quando ero ragazzino, nella Milano berlusconiana Anni 90, tu, mamma, eri fuori da tutti gli schemi». «E infatti te ne vergognavi, e non facevi venire gli amici a casa perché non avevamo la sala da pranzo col tavolo rotondo, che orrore!, e nemmeno le foto nelle cornici d' argento». Allora Beniamino Barrese, figlio minore di Benedetta Barzini, s'innamorava di ragazze bionde e molto borghesi che erano l'esatto contrario di sua madre, per sottrarsi a un rapporto complesso e meraviglioso che lo attraeva ma che gli faceva pure una gran paura. Poi ha cominciato a capire: «La mamma era speciale».
E poi a metabolizzare. Oggi, a 33 anni, le ha dedicato un film, La scomparsa di mia madre, appena uscito in un numero selezionato di sale italiane. Benedetta, tutto il film è imperniato sulla lotta fra suo figlio che vuole filmarla e lei che gli urla di metter via la macchina da presa, convinta com'è che quella dell' immagine sia la vera dittatura della nostra epoca. «La mia faccia non è in vendita», gli ripete.
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Però cede, per amore. Come si è convinta?
«Per l'impossibilità di dire di no a un figlio. E perché mi pareva il modo in cui finalmente potesse digerirmi, liberarsi di me. Mi sono anche vergognata. Mi si vede in casa, nel piccolo spazio che abito, si capisce che non mi pettino, che non mi vesto in modo carino. Però ho pensato: dài, facciamolo. Il nostro sarà un lavoro di separazione. Poi torneremo alla normalità, questa ossessione finalmente sarà finita».
Ci siete riusciti?
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«Credo di sì. Lo intuisco da qualche segnale. Dopo il primo giro nei festival adesso comincia a dirmi: mamma, al prossimo posso andare da solo. Mi piace che mi abbia trattato con rispetto, e che mi abbia attribuito un pensiero. È difficile che un figlio ti consideri come una persona».
Beniamino, che risponde a chi pensa che con sua madre è stato prevaricante, perfino violento?
«Che un documentario è realtà ma anche narrazione, e che se certamente lì c'è una parte di me ce n'è anche una di finzione. Quelle sequenze, in effetti, le avevo girate senza pensare coscientemente di usarle. Ma poi mi sono reso conto che il fulcro del film stava proprio in questo contrasto, nella denuncia della schiavitù del linguaggio visivo a cui tutti sono sottoposti, le donne in particolare».
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E lei, Benedetta, prima italiana a graziare la copertina di Vogue America, adorata da Richard Avedon e da Irving Penn, com'è riuscita a far fronte, nella sua carriera, a questa contraddizione?
«Quando ho cominciato ero giovanissima e osservavo tutto, come una che sta alla finestra e guarda in strada. Soprattutto facevo, facevo, facevo. Per dare il meglio a chi mi aveva chiamato, la prima che mi aveva scelto nella vita (Diana Vreeland, la leggendaria direttrice di Vogue, ndr). Immagazzinavo esperienze, ma senza farmi prendere in trappola. Non ero modella a tempo pieno, non frequentavo la gente giusta, non andavo alle feste. Poi è arrivata la consapevolezza».
Come?
«Ragionando sui vestiti, incrociando le mie osservazioni con letture di antropologia, di storia. Perché gli abiti da cerimonia, da sempre, devono essere così scomodi? Perché c'è sempre uno stilista che ripropone il corsetto? A che cosa serve, come deve far sentire le donne? Da lì ho ricominciato, ho trovato la mia voce. Su quei temi, anni dopo, avrei fatto lezione ai ragazzi».
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Adesso, però, ci deve raccontare che cos'è la scomparsa del titolo. E se, soprattutto, pensa di metterla in pratica.
«Vuol dire andarsene da tutto, in un posto non dominato dall'uomo bianco. Senza telefono né computer né conto in banca. Camminare verso oriente, con due cose sulle spalle. Vivere di baratti. Tagliare i contatti con tutti. Per i figli, un congedo senza cadavere. Certo che ci penso ancora. Ma siccome è una scelta molto complicata, finisco per dirmi che morire e basta in fondo è più semplice».
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E Beniamino, come prende quest'idea? Come un progetto o una fantasia?
«Come l'idea guida della sua vita, in fondo in continuità con la malattia della sua giovinezza, quando si rifiutava di mangiare. Lo considero, insieme, un'utopia e un mezzo incubo. Ma non mi permetto di giudicare. Può decidere di vivere gli ultimi anni della sua vita come le pare. E non è detto che un ospedale in una città sarebbe meglio, visto come la società tratta gli anziani».
2 - MASCHI SULL'ORLO DI UNA CRISI DI AMORE SE MAMMA È LADY D, MINA O SOFIA
E.S. per “la Stampa”
Non soltanto Benedetta e Beniamino, ma anche Franca e Francesco. «Era durissima, propositiva, creativa: con me come sul lavoro. Spero che questo film ispiri le persone a osare come lei. E i figli a fare le domande scomode ai genitori». Così Francesco Carrozzini su «Chaos and Creation», il documentario del 2016 in cui intervista sua madre Franca Sozzani, direttrice per tanti anni di «Vogue Italia».
franca sozzani francesco carrozzini bee shaffer anna wintour
Lo accompagnarono insieme a Venezia, lei era già molto malata e sarebbe morta qualche mese dopo: ma quella Mostra fu, disse lui, «il culmine del nostro rapporto», un giorno felice, una festa affettuosa. Se ha i mezzi per farlo, il figlio maschio di madre carismatica, affascinato e soggiogato (ma anche un po' schiacciato, come da tradizione), il nodo scorsoio dell' Edipo forse può scioglierlo solo così: mettendo la mamma davanti alla macchina da presa e assumendo simbolicamente il comando.
Oppure mixandola in sala di registrazione, o dedicandole un saggio. Sophia Loren e il suo secondogenito Edoardo Ponti hanno appena finito di girare «La vita davanti a sé» dal romanzo di Romain Gary, e nessun altro l'avrebbe convinta a tornare sul set, a 84 anni e dopo dieci di inattività.
Mina con Massimiliano Pani
Da sempre Mina si fida soltanto di Massimiliano Pani, il primogenito, che non è solo il suo produttore discografico ma anche il suo portavoce per il resto del mondo.
Sì, con una madre ingombrante si possono fare i conti: se ti lascia lo spazio di creatività necessario, naturalmente: e quando fatica a lasciartelo, se comunque ti insegna a conquistartelo. Il più coraggioso è stato David Rieff, unico figlio di Susan Sontag, che alla paura della morte di sua madre, una mente così brillante da gettare in soggezione l' intera società intellettuale newyorkese, ha dedicato un magnifico saggio. Il più commovente Harry d' Inghilterra, che di Diana imita perfino le camminate nei campi minati.
FRANCESCO CARROZZINI E FRANCA SOZZANI