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    BENETTON: QUANDO TI PUOI ARRICCHIRE CON FINANZA E CONCESSIONI PUBBLICHE, PERCHÉ FARE GOLFINI?


     
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    ROMANZO FAMILIARE
    Gianfrancesco Turano per "l'Espresso"

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    Zii, cugini e manager con strategie spesso divergenti. E alle prese con bilanci meno ricchi. Ecco, settore per settore, come sta cambiando il gruppo di Ponzano Veneto

    Zii, cugini e manager. Metterli d'accordo era già complicato quando le cose andavano bene. Figurarsi adesso. La crisi sta imponendo all'impero Benetton un drastico cambio di stagione rispetto ai vecchi abiti in tessuto misto fra capitalismo familiare e modernità. I conti del gruppo di Ponzano Veneto, consolidati nella holding Edizione, sono distanti dalla zona di rischio. Ma gli indicatori principali sono tutti in calo.

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    Le quattro gambe principali del business avanzano più adagio. Nel 2012 Atlantia-Autostrade ha riportato un calo negli utili sostanziale (da 898 a 808 milioni) e un piccolo progresso nei ricavi. Lo stesso vale per Autogrill (da 126 a 97 milioni di utili). Gemina, la società che controlla Aeroporti di Roma e che fa capo alla sub-holding Sintonia, ha fatto l'inverso: meno ricavi e, caso unico nel gruppo, profitti in salita a 194 milioni dopo un 2011 in leggera perdita.

    Benetton group è stata tolta dal listino l'anno scorso e già questo la dice lunga sullo stato del nucleo originario del gruppo trevigiano. La società dell'abbigliamento, in crisi da anni, non presenta più un consolidato proprio e confonde pudicamente i suoi conti nella holding Edizione, che terrà l'assemblea a fine giugno.

    Ma le cifre che arrivano su Benetton sono sconfortanti. Ricavi sotto del 10 per cento da 2 a 1,8 miliardi e utili ridotti di due terzi da 73 a 24 milioni di euro.

    Così, la holding trevigiana (85 mila dipendenti) chiuderà il 2012 con un fatturato di 12,3 miliardi (12,2 nel 2011) e un utile in discesa a 256 milioni di euro, contro i 322 del 2011. Anche se in Italia c'è chi sta molto peggio, per uscire da un'impasse che può avvitarsi in una spirale negativa i Benetton hanno avviato una ristrutturazione radicale del gruppo. Le prime due mosse hanno riguardato Autogrill, con lo spinoff e la scissione in due società (retail e aeroporti), e Atlantia, che è destinata a incorporare Gemina.

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    In aggiunta, si vende quel che si può. Gli ultimi due anni sono all'insegna dei grandi saldi. L'aeroporto di Torino è finito al fondo F2i di Vito Gamberale. L'autostrada Torino-Savona a Beniamino Gavio. La quota in Impregilo è stata girata allo stesso Gavio prima della scalata vincente di Salini. La Sat (autostrada Tirrenica) è andata a Gavio, Francesco Gaetano Caltagirone, Mps e Coop rosse. La Roma-L'Aquila a Carlo Toto e la quota in Rcs a remengo, per dirla alla veneta, mentre resiste l'appoggio alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera per volontà solitaria di Gilberto Benetton.

    La scure ha colpito anche le proprietà immobiliari, con la cessione, all'inizio di giugno, dell'ex palazzo dell'Unione Militare, in via Tomacelli a Roma, per 180 milioni (80 di plusvalenza) al colosso retail svedese H&M.

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    Dietro questa riorganizzazione epocale si muovono strateghi non sempre allineati, anche se all'esterno la famiglia continua a mostrare un fronte unito.

    Luciano, Giuliana, Gilberto e Carlo, i quattro fratelli della prima generazione, con un totale di 16 figli, hanno inserito ognuno un rampollo nel consiglio di Edizione. I prescelti sono Alessandro (Luciano), Franca Bertagnin Benetton (Giuliana), Sabrina (Gilberto) e Christian (Carlo). Salvo Sabrina, che ha avuto una breve parentesi al marketing di Autogrill, le esperienze precedenti e correnti degli altri cugini nel gruppo sono tutte concentrate sulle attività della Benetton.

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    Non è un caso. Per la famiglia di Ponzano la Benetton è sempre stato il business del cuore, all'origine di un'avventura imprenditoriale iniziata nel 1965. Le attività diversificate sono invece organizzate da Gilberto e dal suo regista finanziario, Gianni Mion, che le hanno sempre e soltanto affidate a manager esterni. In cambio, l'accordo prevede la non ingerenza di Gilberto, e di Mion a maggior ragione, nel tessile.

    Nonostante questa separazione di fatto, da presidente del Benetton Group il secondogenito di Luciano sta tentando di applicare il metodo adottato dallo zio Gilberto in Autogrill o Atlantia: dare alla società una struttura manageriale, mentre si studia il modo di vendere qualche migliaio di negozi e di passare, nel magico linguaggio della consulenza, dalle vendite wholesale (ingrosso) a quelle retail (dettaglio).

    Più facile a dirsi che a farsi. La Benetton macina amministratori delegati quasi come Maurizio Zamparini cambia allenatori: cinque negli ultimi dieci anni.

    Il cambiamento più recente riguarda lo scioglimento della diarchia al vertice composta da Franco Furnò, esonerato, e Biagio Chiarolanza, confermato. Eppure Furnò, come del resto Chiarolanza, è cresciuto in Benetton sotto la protezione di uno dei vecchi corsari dei tempi d'oro, Amerino Zatta detto Meri, già produttore e negoziante al servizio di Luciano e oggi reggitore brillante delle fortune del rugby di casa, dopo l'uscita della famiglia dal basket e dal volley.

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    Per Furnò, come per i suoi predecessori, sostenere la pressione di un presidente che è espressione diretta della proprietà si è rivelato impossibile e non è detto che Alessandro voglia davvero fare un passo indietro.

    Chi potrebbe fare un passo avanti è Giovanni Castellucci. L'amministratore delegato di Atlantia sembra uscito indenne da quello che poteva rivelarsi un grave incidente di percorso e che, come minimo, ha ritardato i tempi della fusione fra la sub-holding delle autostrade (oltre 3mila chilometri di rete gestita) e Gemina-Aeroporti di Roma.

    L'ingegnere, produttore d'olio nelle sue Marche e praticante velista, ha omesso di segnalare il contenzioso da 870 milioni di euro che, per una volta, lo Stato - per l'esattezza il ministero dell'Ambiente - ha aperto contro una delle sue imprese appaltatrici. In questa versione dell'uomo che morde il cane, l'uomo difficilmente otterrà soddisfazione. La questione riguarda i materiali rocciosi contenenti amianto scavati e spediti a Poggiolino e nelle altre discariche della Variante di Valico tra Barberino del Mugello e Sasso Marconi.

    Gli uomini di Atlantia-Autostrade hanno le carte per dimostrare che, a differenza di quanto accaduto negli impianti dell'Eternit, i quantitativi di amianto sono irrisori, non nocivi e trattati secondo i protocolli di sicurezza. Soprattutto, molte di queste carte portano l'autorizzazione di conferenze dei servizi e valutazioni di impatto ambientale di quello stesso ministero, diretto e poi guidato da Corrado Clini per un quindicennio, che ha sollevato la questione dell'inquinamento.

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    In altre parole, i cinque saggi convocati per stabilire la congruità delle richieste rispetto ai concambi Atlantia-Gemina sembrano orientati, nella peggiore delle ipotesi per i Benetton, a rinforzare il fondo rischi per 50-100 milioni di euro.

    Questo non significa che il comportamento di Castellucci sia stato apprezzato dalla famiglia. Ma cambiare la guida di Atlantia in questo momento appare fuori questione. Per quanto poco portato all'umiltà, Castellucci ha una presa ferma sulla sua azienda ed è già stato designato al vertice della Atlantia post-fusione, magari delegando il settore autostrade ai suoi uomini di punta, Gennarino Tozzi e Riccardo Mollo.

    Atlantia-Gemina rappresenta, allo stesso tempo, il massimo del rischio e il massimo delle opportunità per Edizione. Il rischio viene da un indebitamento netto colossale (10,9 miliardi). L'opportunità arriva dalla sicurezza finanziaria delle concessioni autostradali anche in una fase di calo del traffico consistente (meno 7,5 per cento solo fra il 2012 e il 2011, meno 15 per cento negli ultimi tre anni).

    Sullo sfondo c'è la realizzazione della quarta pista di Fiumicino e del terminal nord, utilizzando parte dei 3 mila ettari di Maccarese, la tenuta che i Benetton hanno comprato dall'Iri negli anni Novanta. In questo modo, il Leonardo da Vinci dovrebbe quasi triplicare gli attuali 36 milioni di passeggeri annui e diventare un hub di dimensioni superiori a Heathrow (70 milioni di passeggeri), scalo londinese che peraltro di piste ne ha solo due. La cifra propagandata per un investimento che comporta opere accessorie stradali e ferroviarie è enorme (12,5 miliardi di euro) ma, a guardare bene le carte, prevede 2 miliardi di euro nei primi dieci anni.

    Non che sia facile procurarseli in tempi di stretta creditizia. Ma già adesso Atlantia utilizza il circuito bancario quasi soltanto per piazzare le sue emissioni obbligazionarie. Quindi, dipende dal mercato in un momento in cui nessuno osa previsioni sull'andamento oltre i sei mesi.

    Anche il potenziale lobbistico che è nella tradizione di Atlantia-Gemina, da Fabrizio Palenzona (presidente di Adr e vice di Unicredit) a Simonetta Giordani, ex responsabile delle relazioni istituzionali di Autostrade nominata sottosegretario ai Beni culturali, potrebbe non bastare alla quadratura del cerchio di un business plan attendibile.

    Nel frattempo, i Benetton continuano a soffrire pro-quota insieme agli altri azionisti Alitalia e ci vuole una buona dose di ottimismo per credere alle opportunità di sviluppo infrastrutturale di un Paese che ha le casse vuote.

    MASSIMO PONZELLINI DAL FATTOMASSIMO PONZELLINI DAL FATTO

    L'impatto della recessione e del calo del traffico autostradale ha colpito Autogrill tanto quanto Atlantia. La società guidata da Gianmario Tondato Da Ruos ha approvato lo spinoff sotto la regia finanziaria di Mion, che a giugno 2012 dopo 25 anni da direttore generale di Edizione ha lasciato la carica a Carlo Bertazzo, ad di Gemina. Amoveatur ut promoveatur, visto che Mion è diventato il vicepresidente di Edizione. Pur di continuare a fare e disfare architetture finanziarie insieme al presidente di Edizione, Gilberto, il manager ha accettato un taglio di stipendio con una frase lapidaria: «I soldi per il funerale ce li ho».

    Lo spinoff è la tipica mossa da tempo di crisi della coppia al vertice di Edizione. Si spostano un po' di carte e si rende esplicito un valore d'azienda che prima se ne stava nascosto. In questo caso, si parla di una plusvalenza emergente tra uno e 1,2 miliardi di euro.

    Come nella Fiat di Sergio Marchionne, anche per Autogrill il punto dolente è l'Italia, che contribuisce ai conti con 50 milioni di ebitda e 11 mila dipendenti, contro i 350 milioni di ebitda e 27 mila dipendenti del mercato estero e, in particolare, statunitense.

    Colpita dalla concorrenza di gruppi emergenti dai modi più spicci, come i foggiani Sarmi, la società guidata da Tondato ha minacciato una cura dimagrante severa, con la chiusura di un terzo delle stazioni. Giovanni Pitruzzella, numero uno dell'Antitrust, ha convocato il management di Autogrill per raccomandargli di ripensarci e di partecipare ai prossimi bandi di gara in scadenza per 150 milioni di euro. L'occupazione prima di tutto. Lo Stato ha tante di quelle partite aperte con il gruppo di Treviso che un bilanciamento si finirà per trovarlo.

     

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