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    BENIGNI FA 70 E LA RAI LO CELEBRA CON “L’ALTRA DOMENICA” QUANDO ROBERTACCIO SI ESIBIVA NELLE VESTI DI CRITICO CINEMATOGRAFICO SOLLECITATO DA UN RENZO ARBORE IN GRANDE SPOLVERO - "RAI MOVIE" HA DECISO DI TRASMETTERE, PRIMA DEL FILM SERALE, ALCUNI SPEZZONI DEL PROGRAMMA IN CUI ARBORE E BENIGNI METTEVANO IN SCENA QUELL’ATTITUDINE CRITICA CHE FRANCO FORTINI HA CHIAMATO “CRITICA INVENTIVA” – VIDEO


     
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    Aldo Grasso per corriere.it

     

    RENZO ARBORE RENZO ARBORE

    Lodevole l’iniziativa di Rai Movie di trasmettere, prima del film serale, alcuni spezzoni dell’Altra domenica per festeggiare i 70 anni di Roberto Benigni. Sono quelli in cui, stagione 1978-79, l’allora comico toscano si esibiva nelle inedite vesti di critico cinematografico. Sollecitato da un Renzo Arbore in grande spolvero, Benigni parlava dei film che aveva visto.

     

    Non una riflessione estetica, né etica, né filosofica, ma giudizi personali, incongrui e stralunati. In assenza di una «teoria generale della letteratura recensoria», il critico domestico (le registrazioni avvenivano a casa Arbore) compitava parole ambigue, affettuose, venefiche, risentite, come se non avesse mai visto l’opera di cui parlava, come se non sapesse di cosa stesse parlando.

    roberto benigni roberto benigni

     

    Inconsciamente, o forse no, Arbore e Benigni mettevano in scena quell’attitudine critica che Franco Fortini ha chiamato «critica inventiva»: «Il critico si fa artifex additus artifici, un creatore che si sovrappone ad un altro, fino ad assumerne i colori». Il film diventava un semplice pretesto per improvvisare divagazioni, per raccontare ossessioni personali, per mettere a nudo la propria cialtroneria (con tutto l’affetto possibile).

     

    A seguire Benigni verrebbe da dire, con Giorgio Manganelli, che non c’è nulla di più futile della recensione; gesto miserabile, irresponsabile, ritaglio di chiacchiera, gomitolo di inutili aggettivi, di frivoli avverbi, di risibili sentenze. Motivo per cui, sollecitati dalle mirabili prestazioni del critico e del suo illustre interlocutore, non ci permetteremmo mai di dire, come fanno alcuni, che questo è il miglior Benigni, non ancora irretito da ubbie intellettuali, fors’anche retoriche, il Benigni della canzone «Pantheon» quando frequentava Enzo Ungari e Marco Melani e, a volte, anche Bernardo Bertolucci. Intanto godiamoci queste esercizi di ribalderia critica.

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