SILVIO BERLUSCONI E VLADIMIR PUTIN COL LIBRO DI Giancarlo Lehner
Tutti uniti, ma non proprio tutti. Se Fratelli d'Italia si allinea al governo, all'insegna dell'«opposizione patriottica» (anche della patria degli ucraini) e il Senato e la Camera (con 244 voti favorevoli a Palazzo Madama, 13 contrari e 3 astenuti) approvano la risoluzione multipartisan in difesa del Paese invaso dai russi, c'è anche qualcuno che stecca nel concerto dell'unanimità. I dem sono inviperiti contro Salvini: «Riesce a parlare per oltre dieci minuti senza mai pronunciare due parole: Russia e Putin. A riprova che i vecchi amori non si scordano mai...».
Però il capo leghista arriva a concedere che «c'è un aggressore e un aggredito» e «noi abbiamo il dovere di stare con gli aggrediti». Dei leghisti solo Carlo Doria si astiene nel voto, ma tra i sette salvinisti assenti ci sono anche pezzi grossi come Armando Siri. Il Carroccio se la cava così, secondo la linea del leader: «Se si risponde alle bombe con le bombe non si sa mai dove va a finire». Ovvero, votano sì per non creare problemi ma sono poco convinti i leghisti di inviare armi agli ucraini. Ed è evidente la differenza con l'altra destra, quella di FdI. Adolfo Urso e Ignazio la Russa parlano di «azzardo di Putin».
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Forza Italia è anti-putianina doc. Non solo nel voto in Italia, ma Berlusconi - che finora era stato zitto sull'amico Putin definito a suo tempo «un vero liberale», ieri ha votato da remoto, cioè da Arcore, al Parlamento di Bruxelles la risoluzione Ue che condanna la Russia per l'attacco all'Ucraina. E c'è chi lo ha sentito dire: «Non riconosco più il mio amico Vlad, che è sempre stato uomo di pace». Tutti insomma sulla linea di Draghi, anche se 16 senatori hanno votato in dissenso e 14 di loro sono pasdaran ex grillini di Alternativa più Paragone di Italexit. Alla Camera, spicca tra le 12 astensioni (2 stellati, Fassina e altri due di Leu e gli altri del Gruppo Misto) quella di Laura Boldrini, ex presidentessa di Montecitorio.
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Ma il problema è nei 5 stelle. «Temevamo peggio», minimizzano gli uomini di Conte. La defezione di Vito Petrocelli è pesante, perché è il presidente della Commissione esteri del Senato. Ha votato no alla risoluzione unitaria, ed è subito partito il pressing da parte di un pezzo del Pd più Forza Italia e Italia Viva per farlo dimettere da questo ruolo cruciale. «Io l'avevo detto, mandare le armi è sbagliato e ho votato di conseguenza», è quanto dice Petrocelli, che viene dalla sinistra-sinistra. Vari suoi colleghi (Coltorti, Girotto, L'Abbate, Pesco, Quarto) erano assenti nel voto. C'è chi se la cava così: «Avevo chiesto il congedo per un impegno familiare. E questo mi ha evitato una decisione difficile», spiega L'Abbate.
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MAL DI PANCIA La stessa capogruppo, Mariolina Castellone, non ha nascosto i suoi dubbi: «Votiamo sì, ma è una scelta compiuta con un grande dolore». Il caso Petrocelli è il più scottante. In una chat M5S, l'ex reggente Crimi si sarebbe stupito per le mancate sanzioni nei confronti del collega: «Ma come è possibile che si possa lasciare libertà di voto su una risoluzione così?». Difficilmente però ci saranno azioni disciplinari contro Petrocelli perché, come viene sottolineato dai vertici del gruppo M5S, «questo sull'Ucraina è stato un voto su una risoluzione, non un voto di fiducia al governo». Ma non è escluso che nelle riunioni dei prossimi giorni i critici verso Petrocelli - e nell'ala Di Maio ce ne sono assai - tornino alla carica per chiedere le dimissioni.
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Poi a Montecitorio ha parlato la Meloni, ha aperto a Draghi ma ha voluto puntualizzare riguardo alla sinistra: «Noi guardiamo la politica estera dal punto di vista di un unico padrone, cioé l'Italia. Non abbiamo mai voluto vincere il premio di chi era il più atlantista, di chi era il più gradito alle cancellerie europee o piuttosto di chi era il miglior amico di Putin, come piace fare ad altri qua dentro». Unità. Ma durerà?
laura boldrini premiata foto di bacco