Francesco Persili per Dagospia
A cosa hai pensato quando hai schiacciato quel pallone nella finale mondiale del ’90 contro Cuba? “A niente, assolutamente a niente”. La mette giù così Lorenzo Bernardi ripensando alla sera di quel 28 ottobre quando l’Italvolley si issò per la prima volta sul tetto del mondo: “Quel pallone era uguale a tutti gli altri. Primo o ultimo punto, non c’era differenza. Era dall’inizio di tutto che mi allenavo per quello”.
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Di quella notte a Copacabana, l’ex schiacciatore della Panini Modena ricorda che è sempre il gioco di squadra a fare la differenza, le birre gelate e le caipiroske. A tranquillizzare la moglie ci pensa Jacopo Volpi, oggi conduttore della Domenica Sportiva e 29 anni fa voce narrante dell’Italvolley: “Quella notte Bernardi ha dormito con me”. All’Aniene si parla del suo libro, ‘La Regola del Nove’, curato da Serena Piazza (Roi Edizioni).
Il racconto di ragazzi che fanno sport nei cortili e di una “generazione fenomenale”, medaglie vinte e perse, tendini bucati e pugnalate alla schiena e di una sfida bigger than life. "Essere bravi non basta, avere talento non è sufficiente, se non si ha il desiderio di migliorarsi". E’ così che ‘Lollo’ è diventato ‘Mister Secolo’, il miglior pallavolista del Novecento. “Una storia strepitosa”, certifica il presidente del Coni Giovanni Malagò, “un libro che racconta la personalità complessa, non convenzionale, di un campione umile, di un allenatore che ora siede come rappresentante dei tecnici in Consiglio Nazionale Coni ma soprattutto di un grande uomo”. Al suo fianco il presidente della Fipav, Pietro Bruno Cattaneo, rivendica l’orgoglio per “la Generazione dei Fenomeni che ha reso la pallavolo uno sport popolare”.
cattaneo piccinini malagò bianchedi bernardi e la moglie
Il convitato di pietra è Julio Velasco. È il coach argentino che ai tempi di Modena lo mette davanti alla sliding door decisiva della carriera. “O vai in prestito oppure se accetti di cambiare ruolo, da alzatore a schiacciatore, in due anni sei in Nazionale”. Sfida accettata, e vinta. “Un rapporto straordinario perché basato sulla sincerità”, anche quando ad Atlanta ‘96 Velasco lo punzecchia davanti ai giornalisti al termine di un esercizio: “Dicono che sei il giocatore più forte del mondo, il giocatore più forte del mondo questa palla la prende”.
Si rivivono momenti di vita e di sport. Il coraggio di lasciare Trento a 14 anni, l’impatto con Padova e con quella professoressa di tedesco che sembra la signorina Rottermeier di Heidi, la voglia di rimettersi in gioco da tecnico in Polonia, la paura ad Ankara (“Ho vissuto con il terrore. Ci furono 4 attentati in un anno”), il triplete a Perugia con uno strascico giudiziario che potrebbe cambiare il regime che lega i tesserati ai club. “La regola che ho imparato subito è che il campo ti restituisce quello che dai”. Ma ogni regola ha le sue eccezioni.
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Impossibile evitare l’argomento: la maledizione olimpica. Giochi del ’92, Freddie Mercury e Montserrat Caballè intonano ‘Barcelona’, brividi e adrenalina a fiumi, ci sono i giganti del basket NBA Michael Jordan e Magic Johnson e un altro Dream Team, il nostro, l’Italvolley. Tutti, a partire dalla Federazione Internazionale, sono convinti che gli azzurri della pallavolo conquisteranno l’oro.
L’Olanda di Blangè, Zwerver e Van Der Meulen manda in frantumi il sogno ai quarti. “L’incubo si rimaterializza quattro anni dopo, in finale, a Atlanta ’96. Si fa male Bovolenta, poi in semifinale contro la Jugoslavia, l’infortunio alla caviglia di Bernardi. “Giocai la finale con le infiltrazioni, le conseguenze le ho pagate dopo. Non ho da recriminare nulla. Quello che volevo fare l’ho fatto. Ne valeva la pena”. Impegno e fatica, nessuna resa finché non si vince.
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“E’ una balla che l’importante è partecipare. L’importante è vincere. Alle Olimpiadi, ai Mondiali, a calcetto con gli amici, si partecipa per vincere, altrimenti non ha senso”, Bernardi va dritto per dritto (“Non devi avere mai paura del tuo nemico ma di quello che ti offre il caffè”, Pasquale Gravina docet), e se ne impipa del politically correct. “Hanno detto che la nostra non era una squadra ma un gruppo di amici. La verità è che questo sentimento non c’era. Quante ce ne siamo dette con Zorzi… Per formare una grande squadra l’amicizia non è elemento indispensabile. Avevamo una grandissima rivalità che durava 11 mesi. Eravamo la Generazione fenomenale per il desiderio di abbattere i nostri limiti per raggiungere qualcosa di straordinario”.
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Gli fa eco anche Francesca Piccinini, la pallavolista più famosa d’Italia che ha vinto tutto tranne l’oro olimpico: “Neanche nella nazionale femminile che conquistò il mondiale nel 2002 regnava l’amicizia. Eravamo colleghe che cercavano di fare il loro meglio inseguendo un traguardo comune. Di amiche ce ne erano una o due. Non si può essere amica di tutte”. La Piccinini ha smesso vincendo. Nella sua seconda vita ci sarà sicuramente "un secondo libro". Anche se quel sogno olimpico…
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