Carlo Bertini per la Stampa
RENZI BERSANI
«Tirare avanti così un anno è dura», dice Lorenzo Guerini, che dei renziani è il più «democristiano», il più incline al compromesso e alla pazienza. E se lo dice lui, si può immaginare cosa ne pensi il capo, cioè Renzi, della graticola apparecchiata da Bersani e compagni. Che come si è visto con il voto sulla fiducia a Lotti, non garantiscono nulla e quindi neanche una sopravvivenza serena al governo nel mare procelloso di questa stentata legislatura.
lorenzo guerini intervistato
Vogliono far ballare Renzi e il «suo» governo senza però farlo cadere, condizionandone il cammino e ponendosi al pari di Alfano e i centristi, «perché come numero di deputati siamo più o meno pari a loro», fanno notare.
INCONTRO AL VERTICE NEGATO
E quindi ora hanno chiesto a Gentiloni di esser ricevuti per un chiarimento. Speranza ha sbandierato ai quattro venti un primo colloquio col premier, che in realtà è stato solo uno scambio cortese di sms ormai più di una settimana fa. Al quale non ha fatto seguito alcun appuntamento per vedersi. Che il premier non concederà a breve, essendo rimasto indispettito dalla pubblicità data ad un contatto tra lui e il neo-leader di Mdp che avrebbe dovuto restare riservato. «Non capiamo dove vogliono andare a parare», si interroga Guerini, «perché se la tendenza è questa, allora un incidente che può far cadere il governo porta dritti al voto. E a loro conviene?».
SPERANZA ROSSI
ESECUTIVO SULLA GRATICOLA
Dal quartier generale di Renzi i «compagni» vengono tenuti sotto stretta osservazione: quando Guerini e Speranza fecero l' ultimo rendez vous prima della rottura, all' assicurazione del pupillo di Bersani che la scissione avrebbe rafforzato il governo perché portava sulla sua sponda anche la metà del gruppo di Sel, il braccio destro di Renzi gli fece notare: «No, guarda che stando insieme a quelli di Sel, farete fatica a votare diverse cose, l' effetto sarà opposto». Ovvero l' instabilità.
LUCA LOTTI E TIZIANO RENZI
Una profezia che sembra avverarsi, ora che i senatori di Mdp al Senato sono usciti dall' aula per la sfiducia a Lotti, anche per non irritare la «pancia» dei militanti, che vede i compagni di Sel votare contro il ministro. E facendo risaltare ancor di più il voto a favore di Verdini e di Ala, decisivo per avere la maggioranza assoluta di 161, come in un gioco di vasi comunicanti.
Il che non ha fatto certo piacere al premier, tralasciando quanto può esser stato contento Renzi delle accuse di «familismo toscano» fatte da Gotor in aula: il quale ha rispolverato perfino il termine «rampante» di craxiana memoria, prontamente notato dai renziani più occhiuti. Che non temono l' insidia dell' altra azione di disturbo, la mozione per indurre Gentiloni a ritirare le deleghe a Lotti, in quanto potrebbe essere giudicata inammissibile e quindi non votata. Ma alla luce di tutto ciò, la profezia di Guerini è ampiamente confermata.
AGENDA GIÀ SOTTO ESAME
gentiloni e renzi
A sentire lo stato maggiore dei fuoriusciti dal Pd, di qui a breve, Gentiloni dovrebbe concordare tre o quattro cose, a partire dalla stesura del Def. Che sarà la cornice entro cui disegnare la manovra economica d' autunno. Quindi, un testo cruciale, che entro il 20 aprile va votato dalle Camere. Se nei tavoli tecnici si continuerà poi a parlare di privatizzare quote di Poste e Cdp, i compagni saliranno sulle barricate. Ancor prima, gli scissionisti vogliono poter discutere la tornata di nomine in scadenza degli enti pubblici, che il governo si appresta a varare entro lunedì. «Non è che può decidere Renzi da solo», dicono loro.
PADOAN
«Perché noi siamo 50 parlamentari tra Camera e Senato e quindi siamo un pezzo di questa maggioranza». E sul medio periodo, l' intenzione è di spingere per cambiare radicalmente il jobs act e la riforma della scuola. Insomma un' azione di interdizione perpetua. Nei saloni del Senato, dove i numeri sono in bilico e la debolezza strutturale del governo è un fatto tangibile, nessuno dei renziani si nasconde che ora vi sia un problema politico nuovo.
Il leader ha già dettato la linea: il Pd non ci sta a farsi ricattare, non garantisce ad una componente della maggioranza di fare come vuole. «Le loro uscite hanno già fatto infuriare tutti», segnalano i seguaci del leader, preparandosi ad una guerra di trincea di qui al 2018.