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    FANNO NERI CHI LI VUOLE BIANCHI - L’ONDA DEL "BLACK LIVES MATTER" TRAVOLGE ANCHE I MARCHI DI COSMESI: IN NOME DEL POLITICALLY CORRECT LE CREME CHE SBIANCANO LA PELLE CAMBIANO NOME, MA RIMANGONO SUGLI SCAFFALI – IL MERCATO È TROPPO REDDITIZIO, SOPRATTUTTO IN PAESI COME L’INDIA, DOVE PER ANNI QUESTE AZIENDE LE HANNO PROMOSSE COME IL SEGRETO PER AVERE SUCCESSO NELLA VITA E SPOSARSI: UN BOMBARDAMENTO CONTINUO CHE HA CONVINTO MOLTE RAGAZZE DALLA PELLE SCURA CHE SAREBBERO RIMASTE NELLA POVERTÀ SE…


     
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    Carlo Pizzati per "La Stampa"

     

    Fair & Lovely della Unilever Fair & Lovely della Unilever

    Per decenni la tv indiana ha trasmesso pubblicità televisive il cui messaggio chiave era lampante: se sei una donna dalla pelle chiara, troverai marito e avrai successo. Se invece sei un po' scura, farai la sguattera. In India, la gradazione del colore della pelle è equivalente all'appartenenza di casta. Più scuro il colore, più bassa la casta. E la pubblicità rappresenta smaccatamente questa idea.

     

    CREMA SBIANCANTE - IL CASO L OREAL CREMA SBIANCANTE - IL CASO L OREAL

    Ciak: una danzatrice viene eliminata dal coreografo, l'amica le consiglia una crema sbiancante, lei la usa, rischiarandosi giorno per giorno, viene richiamata, ha successo. Ciak: una cameriera che porta i pasti sul set usa la crema sbiancante e diventa subito una modella stupenda, tra click e sorrisi smaglianti. Messaggio: Sei scura? Ti spaccherai le unghie a lavare i piatti. Ti compri la crema? Ti sposerai, farai la hostess o il medico. Anni e anni di un martellante lavaggio della testa dai persuasori occulti per spiegare che se sei nata con la pelle troppo marrone non farai mai strada, nella strada ci rimarrai. Idem per i film di Bollywood.

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    Ma per la prima volta, grazie alla mobilitazione internazionale contro il razzismo di Black Lives Matter, qualcosa si muove anche in India. Un assassinio a Minneapolis, quello di George Floyd, può causare uno tsunami in India, poiché grazie a tre petizioni online con raccolta di decine di migliaia di firme, le multinazionali dei prodotti di bellezza hanno fatto marcia indietro.

     

    «Questi prodotti - recitano le petizioni - sono nati, prosperano e lucrano sul razzismo internalizzato dalla società e promuovono sentimenti anti pelle scura tra i consumatori». Infatti, anche superstar di Bollywood come Shah Rukh Khan e Priyanka Chopra hanno fatto da testimonial per anni alle creme sbiancanti, ora rinnegate.

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    Molte celebrità sono state subito criticate quando hanno protestato a favore di Black Lives Matter, continuando però a farsi pagare per pubblicizzare la crema razzista. Così, la Johnson & Johnson ha smesso di distribuire le creme sbiancanti in India, mentre L'Oréal ha annunciato che rimuoverà termini come «sbiancamento» dai prodotti e la Unilever eliminerà la parola «Bianca» dalla crema «Bianca e Bella», Fair & Lovely. Gli slogan per vendere questi prodotti non lasciavano dubbi: «Vi sbianca completamente» oppure «risolve i problemi di luminosità della pelle, come quello di averla scura». Avere la pelle scura sarebbe quindi un problema.

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    Ma pensarlo è razzismo. Ora quel «Bella Bianchezza» della Neutrogena e quel «Bianca Luminosità» di Clear & Clear smetteranno di promettere un cambiamento sociale associato a quello che si chiama «colorismo», forma di razzismo legato alla gradazione di tonalità della pelle. È una tendenza forse antica, ma per molti associata all'invasione degli imperialisti britannici. I postumi del colonialismo, insomma, strascico di un razzismo che arriva dal Nord Europa, applicato ai colori della pelle degli indiani, ma che, dagli anni Settanta, è diventato un business da capogiro. La Fair & Lovely della Unilever, ad esempio, l'anno scorso ha venduto 500 milioni di euro in prodotti sbiancanti in India.

     

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    Nel mondo, sono 6 mila e 300 le tonnellate di creme sbiancanti acquistate da chi vuole ridurre gli effetti della melanina. Questi prodotti contengono infatti glicerina, crema anti-abbronzante per raggi Uva e Uvb, ma soprattutto la niacinamide, la vitamina B3 che sopprime la melanina dando un colorito più omogeneo con un'azione illuminante e schiarente. Il problema è che un prodotto nato per eliminare le chiazze scure, è diventato in Asia una patina per assecondare il razzismo.

     

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    «Dobbiamo riconoscere che le parole "chiaro", "bianco" e "luminoso" suggeriscono un concetto di bellezza che non pensiamo sia giusto, e vogliamo affrontare questo problema», ha commentato Sunny Jain, presidente del settore bellezza e cura personale dell'Unilever in India, nell'annunciare che il prodotto perderà la dicitura «Bianca» e ne adotterà un altro. La Unilever quindi non elimina il prodotto, non vuole perdere un giro di affari così lucroso, però cambia il nome, ovvero il messaggio del prodotto. Stanno mettendo del vecchio vino in bottiglie con un'etichetta diversa, dicono le voci critiche che parlano di un'operazione solo di immagine, che non entra nella sostanza di un razzismo radicato nei decenni.

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    La paladina della lotta al colorismo è Nina Davaluri, prima Miss America di origini indiane nel 2014. Di lei all'epoca si disse: «Miss America sarebbe troppo scura per vincere Miss India?» perché in India le vincitrici del concorso hanno sempre avuto la pelle più bianca della sua. «È una grande vittoria, ma è solo l'inizio», dice Davaluri. «La maggior parte degli indiani non ha ancora capito di avere un'ideologia che nutre la propria oppressione, poiché non è in grado di domandarsi il perché di tutto ciò.

     

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    Se le aziende, i media e il mondo dello spettacolo non diventano parte attiva nello smantellare le idee chiave che hanno contribuito a costruire la discriminazione contro chi è più scuro nei tanti film di Bollywood, nelle facce sbiancate dei presentatori e presentatrici e nelle pubblicità, non si potrà mai spezzare il circolo vizioso del colorismo». Il circolo vizioso si è ripresentato subito sui social media, dove alcune consumatrici si sono lamentate di questa decisione tesa ad abbattere la discriminazione del colorismo.

     

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    «Ma perché non posso avere la libertà di scegliere cosa fare con la mia pelle?» si chiedono in tante e in tanti, visto che anche molti uomini indiani usano le creme sbiancanti. Nelle zone rurali e nelle province, dove una donna viene insultata con la parola «kaalu» (nera) e le si dice che solo le «gori» (bianche) trovano marito in fretta, dove quindi le varie sfumature della pelle determinano ancora i ruoli nella società, questo dietrofront appare iniquo. Non è visto come una vittoria, ma come una sconfitta.

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    Qui la campagna «Scuro è bello» non ha ancora attecchito perché le proteste antirazzismo che riempiono le piazze dell'Occidente appaiono come un tema scollegato dalla loro realtà, un lusso di chi ha studiato in America. Al momento, più che gioia per la lotta al razzismo, c'è tanta sorpresa e stress nel non trovare più nei negozi quei prodotti che consentivano di salire la scala sociale, occultando la propria estrazione più umile sotto creme miracolose per trovare un marito e farsi accettare dai ranghi più alti.

     

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    Così tante donne si sentono costrette, in attesa che cambi l'intera società, a tornare a impiastricciarsi con i rimedi della nonna, una miscela di latte e curcuma che ti impasta il viso per farti sembrare più bianca. In attesa che cambi il mondo. 

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