Silvia Nani per il Corriere della Sera
la sedia vegetale full grown
Intrecci di rami diventano l' estensione di una sedia. Non è una provocazione ma un oggetto reale, coltivato anziché creato. La materia diventa la natura stessa. Succede in Inghilterra, ed è un esempio che, da visione, in pochi anni è evoluto in una vera serie di arredi.
È il «bio-facturing», il trend più forte tra i 10 raccontati qualche giorno fa a Next Design Perspectives, la prima edizione del summit sul design organizzato a Milano da Altagamma, che ha visto Paola Antonelli, senior curator architettura e design e direttrice del dipartimento di ricerca e sviluppo del MoMA, introdurre la conversazione tra un panel di esperti proprio su questo argomento. Il processo è in atto, ma la possibilità di avere a disposizione materiali alternativi eco-responsabili e sostenibili per produrre degli arredi è una realtà ben più vicina di quanto si immagini.
«Le bioplastiche sono già un' opportunità concreta. Ed esistono oggetti in plastica riciclata così belli che nemmeno ci si accorge che provengono dagli scarti del mare. Ma la ricerca sta sperimentando nuovi materiali derivati dalle alghe, persino una pelle ricreata in vitro. Negli Stati Uniti il micelio, l' apparato vegetativo dei funghi, come alternativa alla gomma o al polistirolo ha già una sua applicazione, per esempio negli imballaggi, ed è a buon punto la sperimentazione anche nell' uso come materiale isolante in architettura», sintetizza Antonelli.
la sedia leggera riccardo blumer
Non è fantascientifico pensare che questi diventino in un futuro prossimo il contraltare «eco» ai materiali tradizionali per gli arredi. «Se penso a una sedia come "La Leggera" di Riccardo Blumer, il micelio potrebbe sostituire la resina poliuretanica iniettata nell' intercapedine del telaio», riflette l' architetto. Certo, alcuni interrogativi vanno ancora chiariti: «Per esempio la durata, non infinita essendo materiali naturali biodegradabili. E poi il costo di realizzazione, che deve diventare competitivo. Di sicuro queste sono risorse promettenti per un nuovo tipo di produzione, in linea con un modo diverso di pensare ma anche di fare design. Per immetterlo poi sul mercato».
Paola Antonelli in tutto ciò crede da tempo. «La mia prima mostra al MoMa, nel 1995, si chiamava "Mutant materials" e verteva sui materiali tradizionali capaci di cambiare aspetto, comportamento e di conseguenza applicazione.
Ho sempre perseguito il concetto della tecnologia e dell' ingegneria applicate al design, in quanto penso occorra guardare a questa disciplina in un modo diverso, oltre la forma. E in questo la biologia dei materiali, la nanotecnologia e il mondo digitale ci possono aiutare», spiega, raccontando il suo percorso che ha costruito in oltre vent' anni di contributi critici al MoMA: «Nel 2008 con "Design and the elastic mind" l' idea è stata spiegare come il design sappia cogliere i cambiamenti tecnologici, scientifici e sociali e tradurli in oggetti chiari e fruibili da tutti.
paola antonelli
Ma, prima ancora, con la mostra "Capolavori umili" ho raccontato come il cubo di Rubik, la Bic o i Post-it siano pietre miliari del design, o in "Talk to be", come gli oggetti comunichino con le persone. Il filo conduttore di tutto è dire che il design è l' espressione creativa più importante degli esseri umani, e una delle chiavi di lettura più complesse e sofisticate attraverso cui possiamo riuscire a legare il nostro passato al futuro».
Esattamente quanto vedremo a Milano nel 2019 alla XXII Triennale, di cui Antonelli è curatrice: «Sarà l' occasione per ricondurre questi temi sotto il cappello del "restorative design": un design ricostituente, diventato sano, eppure sensuale ed elegante. Sostenibile ed eticamente corretto, senza perdere in bellezza». Un' occasione di riflessione per il sistema arredo made in Italy? «Sì, e lo è stato già il convegno di Altagamma. Questa è un' opportunità per le nostre eccezionali aziende di non rimanere retrospettive ma di aprirsi al futuro. Senza paura».
TRIENNALE triennale 2019 TRIENNALE MILANO 2