Antonio Riello per Dagospia
riello alla veneziana
La LIX Biennale Arte di Venezia ha ospitato numerosi artisti africani (o di discendenza africana) e così hanno fatto anche alcuni Eventi Collaterali. Questo forte interesse etnico, in alcuni visitatori, ha suscitato delle perplessità (talvolta purtroppo anche accompagnate da commenti non proprio felici ed appropriati) come se fosse una bizzarra novità.
In realtà il "sistema dell'Arte", ammesso che si possa tecnicamente chiamarlo così, già da diversi anni ha focalizzato il proprio interesse sull'Africa. L'inizio potrebbe essere collocato addirittura nel 1989, anno della mostra "Les Magiciens de la Terre" curata da Jean-Hubert Martin al Centre Pompidou di Parigi.
Ovviamente negli anni recenti il movimento "Black Lives Matter" e il forte e rinnovato interesse degli storici per il colonialismo e la schiavitù (soprattutto negli USA) lo hanno portato ad essere il tema per eccellenza di molta curatela artistica. Ma le sue ragioni profonde trascendono la pur martellante e frenetica spinta dei social e le "mode culturali", sempre volubilmente passeggere. Non è insomma solo una questione di "politicamente corretto".
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La prima ragione, molto prosaica, riguarda il mercato dell'Arte Contemporanea. E' molto più facile acquistare in blocco, a prezzi molto vantaggiosi (per chi compera) l'opera di un artista africano semi-sconosciuto e controllarne quindi, di fatto, la gestione sul mercato allo scopo di moltiplicare notevolmente il ricavo finale da parte di gallerie e mercanti (che oggi si definiscono tutti come "Art Advisor", chissà poi perchè?).
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Insomma in questo contesto etnico è più facile ed economico "costruire" rapidamente la carriera di un/una artista. Esiste inoltre (ed è in crescita) anche un collezionismo africano vero e proprio. Sta emergendo, al di là del luogo comune del "continente povero", una classe media con discrete possibilità di spendere.
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In paesi come la Nigeria (ma non solo) ci sono parecchi imprenditori facoltosi che iniziano ad acquistare opera d'arte. Si è appunto iniziato a fare una fiera d'Arte a Lagos (a Londra, fin dal 2013, si tiene la visitatissima African Art Fair). Ovviamente è più facile che questi nuovi acquirenti si possano identificare in proposte culturalmente più affini alla propria quotidianità.
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Allo stesso tempo anche la borghesia nera nord-americana (per quanto numericamente non molto consistente) viene in questo modo corteggiata: si tratta comunque di un segmento di mercato abbastanza vergine che fa gola. All'inizio degli anni '80, seppure con modalità diverse, era successo qualcosa di simile con la Cina e i suoi artisti.
Una seconda ragione, probabilmente più significativa della prima, è che l'arte ha ciclicamente bisogno al proprio interno di nuova linfa energetica e punti di vista alternativi. E' un processo inevitabile e fisiologico. Non dimentichiamo, storicamente, l'influenza delle sculture africane del Musée de l'Homme sugli artisti parigini delle avanguardie, Picasso in primis.
Era evidentemente tempo, in qualche modo, di aprire le porte a freschi flussi di creatività che sono stati a lungo sottovalutati, se non addirittura snobbati. Questa volta la sorgente del rinnovamento necessario sono stati i problematici ghetti afro-americani e le affollate metropoli del Continente Nero. Del resto la musica ha seguito, e segue, lo stesso percorso.
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Sulle notevoli figure di Simone Leigh (artista statunitense che è stata premiata come migliore artista) o quella di Sonia Boyce (il cui lavoro ha fatto vincere il padiglione della Gran Bretagna) è già stato scritto molto in questi giorni. Inutile ripetere cose già note, se non associarsi al plauso per i loro meritati traguardi. Per capire meglio il fenomeno vale forse qui la pena di porre l'attenzione su due altri nomi presenti in Laguna.
Kehinde Wiley è ospite a Venezia della Fondazione Cini, presso l'Isola di San Giorgio Maggiore. Americano (nato a Los Angeles nel 1977) è una star indiscussa dotata di una naturale propensione al successo (anche di mercato).
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Lo si potrebbe definire il Damien Hirst di colore. La mostra è fatta di giganteschi quadri (tanto saturi e luminosi da sembrare dei light boxes) e da altrettanto enormi sculture in metallo (viene spontaneo chiedersi come abbiano fatto a trasportarle ed installarle...). Una messa in scena davvero impressionante.
Nei suoi dipinti alcune figure languidamente distese indossano vistosi abiti con il classico decoro Louis Vuitton. E la stessa marca che ha generosamente sponsorizzato questo progetto espositivo. Sintesi esemplare di glamour modaiolo, etnicità, talento, e potere in perfetta sinergia. C'è uno spazio-shopping dove si possono ammirare (e comperare) le creazioni di Wiley inteso come stilista: giubbotti, camicie, palloni da basket e molto altro.
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Storia diversa ma altrettanto interessante è quella di Laetitia Ky, che è presentata dalla Biennale al Padiglione della Costa D'Avorio. La giovane artista (26 anni) di Abidjan debutta a Venezia con una serie di fotografia e un breve video. Il suo lavoro consiste in una serie di fantastiche sculture che realizza solo con i suoi capelli.
Versatili e temporanee opere d'arte fatte di cheratina (il principale componente dei nostri capelli). Il gioioso lavoro della Ky rappresenta una via non lamentosa e non retorica, come invece accade di frequente, per celebrare le dinamiche di un'artista appartenente alle cosiddette minoranze razziali emarginate. Laetitia peraltro dispone già (come prevedibile) di un robusto curriculum sui social: centinaia di migliaia di entusiasti seguaci su Instagram.
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