Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera”
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Il processo ai quattro agenti dell'intelligence egiziana - Tariq Sabir, Athar Kamel, Usham Helmi e Magdi Ibrahim Sharif - è bloccato e torna indietro. I giudici della terza Corte d'assise hanno disposto di rimandare gli atti al giudice per le udienze preliminari. Vince la linea delle difese che, in mattinata, avevano sostenuto la tesi della inconsapevolezza degli imputati che non hanno mai comunicato domicilio per ricevere gli atti.
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«Questo non è il processo contro i quattro imputati ma è un processo contro l'Egitto» aveva stigmatizzato l'avvocato Tranquillino Sarno, difensore di uno degli imputati. Perde, invece, la Procura che aveva ritenuto di poter superare quello scoglio (con argomentazioni condivise dal gup).
Giulio Regeni
A giudizio della Corte d'Assise «il decreto che disponeva il giudizio era stato notificato agli imputati comunque non presenti all'udienza preliminare mediante consegna di copia dell'atto ai difensori di ufficio nominati, sul presupposto che si fossero sottratti volontariamente alla conoscenza di atti del procedimento».
il presidente egiziano al sisi 4
Un presupposto con molti indizi ma nessuna certezza e che non ha convinto i giudici. Amareggiata ma non sfiduciata la famiglia Regeni: «Prendiamo atto con amarezza della decisione della Corte che premia la prepotenza egiziana. È una battuta d'arresto ma non ci arrendiamo. Chiedo a tutti voi di rendere noti i nomi dei quattro imputati e di ribadirlo così che non possano sostenere di non sapere».
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Il decreto che disponeva il rinvio a giudizio dei quattro imputati è stato azzerato e ora spetterà al giudice avviare una rogatoria per effettuare l'elezione di domicilio di Tariq Sabir e degli altri. Al mattino la coda di giornalisti per entrare nell'aula bunker aveva rallentato i tempi di avvio del processo. Quindi la discussione del pm Sergio Colaiocco aveva dato il via al dibattimento.
Le difficoltà dell'inchiesta con 39 rogatorie su 64 rimaste senza risposta da parte delle autorità egiziane, citate durante la discussione dal magistrato, aveva reso l'idea degli insormontabili ostacoli incontrati sulla via dell'accertamento della verità. A parlare in aula anche l'avvocato Alessandra Ballerini che affiancava Claudio e Paola Regeni: «Giulio è stato torturato, ma non muore di torture, muore per la torsione del collo, perché qualcuno ha deciso che doveva morire».
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E ancora, testimoniando in prima persona i metodi seguiti dall'intelligence del Cairo: «Sono stata fermata in aeroporto al Cairo dalla National Security quando sono andata in Egitto a prendere un fascicolo. Sono stata poi espulsa senza sapere il perché». Dal finto movente omosessuale all'uccisione da parte di una banda di rapinatori fino ad arrivare al film sulla vicenda, andato in onda sui media egiziani e comparso sui social network: l'elenco dei depistaggi andati in scena pur di accreditare versioni di comodo è lungo. Mentre l'inchiesta della Procura di Roma andava avanti tra molti ostacoli, un'altra, parallela, procedeva al Cairo. Il risultato, paradossale, è che Usham Helmi, uno tra gli imputati, compariva nel team degli investigatori egiziani che si occupavano del caso Regeni.
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