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MATTEO DE SANTIS per www.lastampa.it
Kevin-Prince Boateng, cosa ha provato quando ha sentito gli ululati rivolti a Koulibaly e visto cosa stava succedendo in Inter-Napoli?
«Mi sono sentito male per lui. E anche per me, per tutti. Ho provato dolore».
Dall’episodio del 2013 nell’amichevole Pro Patria – Milan, quando lei prese il pallone, lo gettò sugli spali, se ne andò dal campo e fece terminare la partita, sono passati quasi 6 anni (3 gennaio 2013): trova che sia cambiato qualcosa?
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«No, non è cambiato nulla. Non è stato fatto nessun passo avanti. Anzi, prima a fare i “buu” erano in 50, adesso sono in 10mila».
Per qualcuno gli ululati all’indirizzo di giocatori di colore sono derubricabili come ignoranza e non come atti razzisti: lei è d’accordo?
«Certo che no, si tratta di razzismo. Chi fa quei versi reputa le persone di colore come delle scimmie. E questo è razzismo puro. Poi ci sono anche degli ignoranti che vanno dietro a queste persone, ma sotto c’è sempre il razzismo. Ve lo dico io come si sentiva Koulibaly l’altra sera: era sotto un treno».
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L’Italia di oggi è un paese che chiude i porti. Crede che sia peggiorato?
«Non lo so, non voglio parlare di altro. Sicuramente l’Italia non è peggiorata, anche in Germania succedono cose simili. Prima, però, il razzismo era più nascosto, adesso è più palese e sfacciato. Ripeto, a Busto Arsizio erano in 50 a farmi gli ululati, l’altra sera a San Siro erano in 10mila. Qualcosa non va bene ».
Lo sa che gli autori di quegli ululati nei suoi confronti, quasi sei anni fa a Busto Arsizio, sono stati tutti assolti dalla giustizia ordinaria dall’accusa di razzismo?
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«Con tutto il rispetto, è stato un qualcosa di sbagliato. Tutti hanno capito che era razzismo. Poi se il giudice ha deciso di chiamarlo in un altro modo, non so cosa possa essere configurato come razzismo. Che altro deve succedere? Dobbiamo aspettare che qualcuno muoia?».
Anche il ministro dell’Interno, nonché vicepremier, Matteo Salvini ha sostenuto che è stato giusto non fermare Inter-Napoli perché non si trattava di razzismo…
«Se Salvini dice questo, si sbaglia. É stato razzismo al 100%. La partita andava sospesa perché Koulibaly si sentiva male. Era il momento giusto di sospendere il gioco, anche perché davanti alla televisione c’erano magari 5 milioni di persone. Sarebbe stato un segnale concreto per far capire a tutti che certe cose non devono più succedere»
Se la invitassero a un tavolo istituzionale con il Ministero dell’Interno e la Figc, cosa direbbe?
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«Io voglio solo che la gente capisca. Spero trovino le sanzioni giuste, ma l’importante è che il pubblico comprenda cosa significhi essere nero e cosa possa provare in quei momenti un giocatore. Ora in molti in non capiscono».
Tra voi calciatori affrontate l’argomento?
«Ne parliamo nello spogliatoio, diciamo che ci vuole coraggio. Dobbiamo alzare la voce, dare segnali, lottare. Altrimenti le cose non cambieranno mai e andranno sempre peggio».
Le dispiace che non sia mai uno degli avversari del giocatore insultato a prendere il pallone e decidere di fermarsi?
«Sarebbe stato un segnale forte se un giocatore dell’Inter si fosse fermato davanti agli ululati per Koulibaly. Leggo che tanti su Instagram scrivono che sarebbe meglio ignorare il razzismo. Sbagliato, io l’ho fatto per due anni e non commetterò mai più un errore così grave. Nel calcio abbiamo bisogno di un Colin Kaepernick (giocatore di football che manifestò contro il razzismo, senza contratto dal 2017, ndr), uno disposto a perdere tutto pur di mandare un segnale forte».
Da quando è tornato in Italia, da questa estate al Sassuolo, le sono capitati di nuovo episodi spiacevoli, magari anche nella vita di tutti i giorni?
«Premessa doverosa: amo l’Italia, vivrò qui anche dopo che avrò smesso. No, da quando sono tornato, non mi è successo nulla. Neanche fuori dal campo, ma forse solo perché sono alto 1,90 e peso 90 chili ».
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Per lei le società di calcio fanno abbastanza per combattere i tifosi razzisti?
«Le società possono sempre fare di più. Tutti possono fare di più. Non basta mettere una bandiera sul campo “Say no to racism” o ogni tre settimane quando c’è la Champions fare la pubblicità. Si potrebbe fare di più negli stadi e anche fuori. Ad esempio, a scuola: c’è matematica, storia e non capisco perché non si possa insegnare anche a non essere razzisti. Non solo in Italia, ma anche in Germania, Francia o Spagna».
La Uefa introdusse solo 5 anni fa la cosiddetta “tolleranza zero”...
«Fermi tutti, non posso più sentire le parole “tolleranza zero”. I fatti parlano. Succede ancora di tutto ovunque: si poteva e doveva partire allora, ma non è cambiato niente. Ora, anche se siamo già in ritardo, si può solo ripartire compiendo fatti concreti».
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