bob dylan filosofia della canzone moderna
WAR - EDWIN STARR
Uscita originariamente nell’album War & peace (Gordy 1970)
Composta da Norman Whitfield e Barrett Strong
Da “Filosofia della canzone moderna”, di Bob Dylan, ed. Feltrinelli - ESTRATTO
È interessante osservare che in origine questa canzone faceva parte dell'album Psychedelic Shack dei Temptations, uscito nel marzo del 1970. C'erano state pressioni per farla uscire come singolo ma alla Motown i prudenti responsabili del marketing erano esitanti a offendere quella parte di appassionati dei Tempts che non avevano ancora operato la transizione al sound soul-psichedelico-politico del produttore Norman Whitfield.
bob dylan. retrospectum
A quell'epoca, il Motown Sound era stato definitivamente accettato dal pubblico bianco, ma godeva anche di una vasta accoglienza tra una piccola borghesia nera sorprendentemente conservatrice. Solo due anni prima, entrambi questi segmenti di pubblico erano rimasti soddisfatti da Live at the Copa dei Temptations, che conteneva versioni di standard come Hello Young Lovers, The Impossibile Dream, nonché la composizione di Irving Caesar e George Gershwin, Swanee, insieme a un certo numero di loro successi.
Alla Motown, Edwin Starr era un ambizioso violino di seconda fila. Aveva avuto un solo successo e stava ancora aspettando l'occasione di lasciare il segno. Era nella posizione invidiabile di non avere una base di appassionati da irritare e poteva fare quello che gli pareva. Contattò Whitfield e gli suggerì l'idea di reincidere War.
Edwin Starr
Mossa astuta. La versione di Starr risultò più aggressiva di quella dei Temptations e piena di tutti i tipici svolazzi della produzione Whitfield. Il singolo uscì tre mesi dopo Psychedelic Shack e salì al primo posto tra gli Hot 100 di "Billboard". Definì la carriera di Starr, contribuì a modernizzare la voce della Motown e vendette più di tre milioni di copie, facendo in modo di smentire i versi del testo.
Edwin Starr
Non si può fare a meno di chiedersi se il tono beatnik-pacifista che permeava la canzone fosse sincero oppure solo un altro tema di attualità a cui attingere nel tentativo di raggiungere i portafogli della Giovane America, tra Agent Double-O. Soul e Mercy Mercy Me (The Ecology).
Anche se sfruttava in modo sfacciato il movimento per la pace, è comunque una canzone più forte di Eve of Destruction. Le guerre hanno bisogno di un messaggio chiaro, un'immagine forte che faccia colpo su un manifesto per 'arruolamento, uno slogan, un inno travolgente che possa essere cantato a passo di marcia. Il Vietnam, d'altro canto, era una guerra piccola, alimentata dalla hybris e incomprensibile alla popolazione, lasciata nell'incertezza rispetto ai motivi per cui si combatteva.
Temptation
Storicamente, le grandi nazioni non combattono piccole guerre. Perfino nella Grecia del settimo secolo a.C., quando c'erano oltre millecinquecento città-stato indipendenti, le regole del conflitto erano già organizzate gerarchicamente. Anche allora, non si vedeva una grande città attaccare un piccolo avamposto chissà dove. È raro che la battaglia sia la prima risorsa di una nazione. "War, what is it good for?" ("La guerra, a cosa serve?").
Forse questa non è la domanda giusta. Forse è migliore quella che formulò Country Joe McDonald quando mise delle parole a Muskrat Ramble di Louis Armstrong e pose quell'al- tra domanda che ognuno si chiedeva a proposito del Vietnam: "What are we fighting for?" ("Per che cosa stiamo combattendo?").
country Joe mcdonald
La guerra è un'arma potente, qualche volta l'unica scelta per due parti in causa che hanno esaurito ogni altra opzione. Quando i negoziati e la diplomazia falliscono, spesso è l'unica soluzione. Le guerre hanno risollevato popoli, li hanno liberati dall'oppressione e da vera e propria schiavitù. Le guerre hanno riaperto rotte commerciali e canali di comunicazione. E come la storia è scritta dai vincitori, così è per la guerra.
bob dylan
La nazione vincitrice vi dirà quello che ha conquistato. Per trovare le atrocità dovrete cercare gli sconfitti. O ascoltare le voci di dissenso. Nei primi anni trenta, Smedley D. Butler, due volte Medaglia d'Onore, si congedò dalla marina militare dove era stato maggior generale. Fece un tour in tutto il Paese pronunciando un discorso che dapprima venne pubblicato dal "Reader's Digest" e successivamente come libro.
hiroshima
Il discorso, intitolato ‘’La guerra è un racket’’, presentava un panorama di pescecani che versavano benzina sulle fiamme del conflitto per incrementare i loro profitti. Ammise di avere contribuito ad azioni su vari fronti che avevano recato danni a un gran numero di persone allo scopo di beneficiarne ben poche.
È chiaro che la risposta alla domanda fatta da questa canzone è: quanto se ne ricava. Il che è appropriato, visto che uno degli autori della canzone è Whitfeld, insieme all'altro autore che aveva dato alla Motown il primo successo, quell'inno all'avarizia - Money - poi tante volte ripreso.
hiroshima dopo la bomba
‘’War’’ certamente ha riempito le casse di Hitsville USA, ma d'altra parte la guerra è sempre stata ottima per gli affari. Come Asa Philip Randoplh, organizzatore e presidente del Brotherhood of Sleeping Car Porters, disse nel 1925, quando Smedley Butler era ancora nell'esercito, "Togliete il profitto alle guerre e le renderete impossibili". Ma la guerra non si fa solo per i soldi. Si fa per i diritti. Diritti di proprietà, giusto per essere chiari. A chi appartengono la terra e il petrolio che ci sta sotto?
bob dylan
Per quanto le guerre attraggano corsari, dissoluti, mascalzoni, canaglie internazionali, mercenari e pescecani, la sete di denaro non è l'unica strada che conduce alla guerra. Ci sono anche sfarzo e superbia. Le guerre cominciano anche a causa di un timore xenofobico di incursioni reali o immaginarie.
Ci sono state guerre religiose come le Crociate e guerre che sono servite a consolidare imperi ribelli e tentacolari, come la Guerra del Peloponneso. I popoli hanno combattuto guerre per espandere i loro confini o per difenderli. Hanno combattuto per vendetta o per estendere il dominio della loro bandiera.
HIROSHIMA 8
E nel 1838 Messico e Francia vennero alle mani quando il re Luigi Filippo scopri che un certo Remontel, pasticcere espatriato, non aveva ricevuto alcun risarcimento dopo che il suo caffè messicano era stato saccheggiato. Si potrebbe sostenere che ci sono ragioni migliori per entrare in guerra di un conto di pasticceria non pagato.
atomica su hiroshima
Ma nella guerra è sempre incluso un certo sentore di futilità machista. Al giorno d'oggi, non è tanto il fatto scatenante a essere cambiato quanto la natura stessa della guerra. C'è stato un tempo in cui comandanti degli eserciti opposti stavano loro stessi sul campo di battaglia. E dovevano guardare in faccia il nemico e mettere alla prova la tempra dell'avversario con la loro convinzione in ciò in cui credevano.
BOMBA ATOMICA A HIROSHIMA
A determinare la vittoria era il ferro, tanto nella spina dorsale quanto nella lama. Uno dei segni della civiltà è la capacità di aumentare la distanza tra di noi e la persona che uccidiamo. La lama ha ceduto al fucile, che ha ceduto alla bomba, che ha ceduto a ogni tipo di macchine per uccidere ad ampio raggio.
BOMBA ATOMICA A HIROSHIMA
Più potente eri, più lontano dall'azione stavi. I più potenti stavano a mezzo mondo di distanza, avvolti nelle loro vestaglie mentre soldati senza nome procedevano a uccidere. La "negazione plausibile" ha fatto sì che questi guerrafondai riuscissero a dormire, con un'arroganza che era il risultato della distanza, e con un'ignoranza dei particolari che a loro parere gli manteneva le mani pulite.
Robert McNamara
C'è una scena nel documentario ‘’The Fog of War’’ in cui l'ex ministro della Difesa Robert McNamara discute il suo ruolo e quello del generale Curtis LeMay nel bombardamento di sessantasette città giapponesi durante la Seconda guerra mondiale, prima delle bombe su Hiroshima e Nagasaki.
In una sola notte, a Tokyo, centomila uomini, donne e bambini vennero bruciati vivi su suggerimento di McNamara. Ciò costrinse LeMay ad ammettere: "Se avessimo perso, saremmo stati tutti portati in giudizio come criminali di guerra". Per tutto il resto della sua vita, McNamara è stato ossessionato dalla domanda: "Cos'è che ti rende immorale se perdi ma non se vinci?".
Robert McNamara
La semplice risposta suona superficiale: la storia è scritta dai vincitori. Il problema più grande, però, è che, nella guerra moderna, battaglie che non si possono vincere vengono combattute su fronti molteplici senza una chiara ragione, in un guazzabuglio di ideologia, economia, propaganda e millanteria. Intere sezioni del globo se ne stanno apparentemente calme per lunghi periodi di tempo solo per eruttare di colpo e di sorpresa con esplosioni devastanti, come una qualche sorta di herpes geopolitico.
Curtis LeMay Robert McNamara - 1963
Nel terzo atto del Mercante di Venezia, il buffone Lancillotto dice a Jessica che "i peccati del padre ricadranno sui figli". Sono stati in molti a richiamare lo stesso argomento a proposito della sola dinastia presidenziale che abbiamo avuto finora e delle due Guerre del Golfo, che hanno causato increspature di amplissimo raggio sulle acque della Storia. Il Padre, constatando la possibile fine della Guerra fredda ma dovendo affrontare una maggiore instabilità nel Medio Oriente, nonché scaramucce a Panama più vicine a casa, aveva bisogno che una mano sicura controllasse quella scacchiera tridimensionale che il mondo era diventato.
Robert McNamara Kennedy
Agì con rapidità chirurgica in risposta all'aggressiva invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein. Ci furono vittime, è vero, ma in numero inferiore a qualsiasi previsione, e quando lo scontro finì il tasso di approvazione del Padre raggiunse 189 per cento, il più alto nella storia dei sondaggi Gallup. E, cosa forse ancora più importante, le Nazioni Unite imposero sanzioni contro l'Iraq e crearono una commissione per garantire che l'Iraq non riprendesse il suo programma di armi di distruzione di massa.
george w bush
Questo fu ciò che venne deposto ai piedi del Figlio; non i peccati. Ma il Figlio non era lo stesso uomo che era il Padre e, nella scia della paranoia del dopo 11 settembre e in seguito a falliti tentativi di spezzare l'Asse del Male", rivolse la sua attenzione all'Iraq. Il suo occhio non vedeva chiaro, né la mano era sicura come quella di suo padre.
Si fecero affermazioni a proposito di armi di distruzione di massa che non furono mai trovate, battaglie vennero combattute su molti fronti, vite andarono perdute nel corso di un'invasione che non era stata provocata. Se Robert McNamara e Curtis LeMay fossero vivi oggi saprebbero come chiamare quegli uomini che mandarono quei soldati alla guerra.
bush padre e figlio
Ma le accuse non finiscono qui. Come popolo, tendiamo a essere molto fieri di noi stessi per via della democrazia. Andiamo al seggio elettorale, diamo il nostro voto e ci mettiamo l’adesivo “Ho votato" come un distintivo d'onore. Ma la verità è più complessa. La responsabilità che abbiamo quando usciamo dal seggio è la stessa che avevamo quando ci siamo entrati.
Se quelli che eleggiamo mandano gente a morire o, peggio, mandano gente a morire dall'altra parte del mondo - alla quale non prestiamo attenzione perché non assomigliano a noi e non parlano come noi - e noi non facciamo niente per impedirlo, non siamo forse colpevoli anche noi? E per vedere un criminale di guerra dobbiamo solo guardare allo specchio.