Domenico Basso per corriere.it
Dopo 59 anni vissuti nell’«onorata società» romana Bobby Solo, (al secolo Roberto Satti) ha deciso tornare sui suoi passi. Oggi si divide tra Pordenone, dove vive con la moglie, e Badia Polesine. Genitori triestini, una nonna di Pola e l’altra di un paesino vicino a Capodistria, da 15 anni ha deciso di riavvicinarsi alle terre dei suoi avi e anche a quel Veneto che lo accoglie sempre a braccia aperte.
bobby solo
Con lui ci sono sempre anche 14 chitarre e 6 amplificatori, quanto basta per vivere bene e suonare rock, blues, country, jazz oltre alle vecchie canzoni che ama rivisitare dando vita ad un repertorio completamente nuovo. «Due anni fa, prima del Covid — racconta il cantante, 77 anni — sono stato in sei locali dove c’erano solo ragazzi di 20-25 anni che hanno apprezzato molto il mio tributo a Johnny Cash e poi mi hanno chiesto di cantare “Una lacrima sul viso” che ho riproposto con accordi più raffinati, tipo musica jazz».
Bobby Solo è vero che il suo nome d’arte è nato per un malinteso?
«Mio padre era del 1906 e amava solo la musica di Wagner, Beethoven, Verdi e Puccini e si vergognava di me. Lui diffidò la casa discografica di allora, la Ricordi, dicendo che io ero minorenne e che non avrebbero dovuto usare il cognome Saffi perché non voleva che all’Alitalia, dove lui lavorava come dirigente, venisse a sapere che io facevo il cantante.
Cosi il direttore artistico ha trasformato Roberto in Bobby. La segretaria ha poi chiesto: “Bobby cosa?” e la risposta fu: “Solo Bobby”. Lei che di nome faceva Stelvia, fraintese e così diventai Bobby Solo».
bobby solo
Ma come ha iniziato a fare il cantante?
«A 14 anni mi innamorai di Betsy Mc Gurn, figlia di un giornalista. Un amore platonico, senza nemmeno un bacio. Abitavamo nello stesso palazzo ed io ero innamorato della sua coda di cavallo biondo platino.
Lei mi parlava di Elvis Presley cosi mi feci mandare dei dischi da mia sorella a cui chiesi informazioni anche su questo cantante. Ho poi iniziato a pettinarmi come lui per fare colpo su Betsy. Mia mamma mi regalò una chitarra e ho cominciato a strimpellare chiedendo aiuto ad un falegname che c’era sotto casa che mi insegnò qualche accordo.
Mia madre era amica di uno sceneggiatore della Rai, Giuseppe Patroni Griffi, e così riuscii ad avere un’audizione un po’ come accade oggi con X Factor. Io ci andai e con molta timidezza cantai un brano di Elvis. Quando terminai, il gruppo di persone che mi aveva ascoltato per giudicarmi mi disse: “Signor Satti continui ad andare a scuola perché lei non farà mai il cantante, lei è negato per farlo”».
Lei come prese questa bocciatura?
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«Scoppiai a piangere e il maestro Mario Gangi, leggendario chitarrista che suonava con Fausto Cigliano, mi fece una carezza e mi disse di non badare a quei vecchi tromboni che mi avevano giudicato. Mi rassicurò dicendo che sentiva che io avevo qualcosa che poteva portarmi al successo e quindi non dovevo mollare. E questo mi ha aiutato molto ad andare avanti».
Ma è vero che all’inizio qualcuno le diceva che aveva la voce da eunuco?
«La mia casa discografica non mi amava, mi diceva di non imitare Elvis ma piuttosto Celentano. Dicevano che avevo i bassi di Frankenstein e il falsetto di un eunuco della Cappella sistina. Non volevano mandarmi a Sanremo».
Ma alla fine al Festival ci è andato e più volte, portando a casa anche due vittorie.
«A volere che io andassi a Sanremo è stato il padre di Mogol, Mariano Rapetti. Era l’unico che credeva in me e fu lui a mettermi in contatto con il figlio. La casa discografica invece riteneva che mandarmi a Sanremo fosse una perdita di tempo».
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Ma com’è nata «Una lacrima sul viso»?
«Il padre di Mogol mi chiese se avevo una canzone nel cassetto. Ed io ce l’avevo. L’avevo composta in cucina su un tavolino di marmo mentre mia madre preparava il pranzo. Lui ne senti un pezzo e mi disse che il testo era banale ma la musica non era male. Ci avrebbe pensato il figlio a sistemarla.
Incontro Mogol pochi giorni dopo quando dovevamo andare in sala di incisione. Non aveva avuto il tempo di scrivere la canzone ma la compose al volo dettandomi le parole. Una lacrima sul viso è nata in 20 minuti dentro ad una R4 color grigio topo».
Con questa canzone poi lei è andato a Sanremo nel 1964. Emozionato su quel palco?
«Avevo 19 anni ed ero emozionatissimo perché mi trovavo al fianco di mostri sacri come Paul Anka, Frankie Laine e Bobby Rydell che erano grandi uomini di scena. Spaventatissimo non sono riuscito a cantare e sono stato salvato dal direttore artistico che mi ha fatto cantare in playback. Ma per questo sono stato squalificato e non ho partecipato alla gara. Nella notte, però, dopo la mia esibizione arrivarono alla casa discografica Ricordi 300mila ordini per il 45 giri di “Una lacrima sul viso”. E molti cambiarono idea su di me».
bobby solo
Poi nel 1965 arriva la vittoria del Festival con «Se piangi, se ridi». Anche qui Bobby Solo però fini sotto i riflettori per essersi messo il mascara. Cosa successe?
«Io avevo visto Elvis Presley fare come Tony Curtis cioè mettersi del mascara sugli occhi per esaltarli. Cosi anch’io prima di entrare sul palco decisi di farlo e chiesi aiuto a due ragazze che lavoravano nella profumeria di fronte al casinò. Forse esagerarono un po’ e quando ho iniziato a cantare il mascara si è sciolto lungo una guancia. Un regista implacabile ha colto l’attimo e mi ha fatto un primo piano.
Da lì nacquero varie voci sulle mie tendenze sessuali tanto che sul mio pulmino qualcuno arrivo a scrivere col rossetto “Signorina Bobby Solo” Ma tutto questo non mi irritò perché sono sostenitore del fatto che bene o male è importante che se ne parli».
Alla proclamazione del vincitore di quel Festival lei ha rischiato di risultare assente. Ci racconti cosa era successo.
«Dopo aver cantato sono andato a mangiare una grigliata di pesce con l’arrangiatore Gianni Marchetti. Quando siamo al caffè arrivano due uomini della Rai che mi danno del pazzo perché ho vinto il Festival e sono lì a mangiare e non sul palco. Tutti mi stavano aspettando. Sono andato a rimettermi lo smoking e sono tornato in teatro dove c’era Mike Bongiorno ad aspettarmi».
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Una vittoria l’ha condivisa con Iva Zanicchi. Con «Zingara» avete conquistato Sanremo. Ma lei ci tornerà all’Ariston?
«Non vado al Festival dal 2003 quando ci andai con Little Tony, un caro amico che mi manca tantissimo. Sanremo è sempre una buona occasione e sarei felice di tornare con una mia canzone. Io non ho fatto nessuna richiesta per andarci ma ho visto che i miei coetanei come Gianni Morandi, Donatella Rettore, Massimo Ranieri e Iva Zanicchi hanno fatto audience.
Quindi forse nei corridoi della Rai potrebbe aleggiare il desiderio di avere ancora dei personaggi di quel periodo. E di quel periodo chi è rimasto: Edoardo Vianello, Fausto Leali, Rita Pavone e Bobby Solo. Quindi se vogliono potrebbero contattarmi e se lo fanno andrò con piacere».
Quindi non sarà lei a proporsi?
«No, sennò sembra che vada a chiedere l’elemosina. Se uno ti vuole ti cerca».
A proposito di canzoni lei è uscito da poco con un nuovo disco. Che brano è?
BOBBY SOLO
«Ho fatto una canzone insieme a Carlo Zannetti che parla della pandemia e della guerra e si chiama “All in Better Times”. È un inno alla speranza che tutto vado a finire bene. È una canzone stile Beatles e mi piace molto».
L’attività dei concerti sta per ripartire?
«Ne ho alcuni in programma: il 30 aprile a Viareggio, l’1 maggio a Pescara, il 6 maggio a Milano. Il 27 maggio invece mi ha chiamato il mio caro amico Jerry Calà per andare a cantare sul lago di Garda, in un locale sulla spiaggia che si chiama Sestino Beach».
Ultimamente Bobby Solo è stato anche ospite fisso a Domenica In. È stata una esperienza gratificante?
«Mara per me è una santa. La devo ricoprire di fiori perché mi ha voluto con lei per 5 puntate e da qui mi sono arrivate molte richieste di serate e continuano ad arrivarmene. Da lei ho cantato dal vivo e il pubblico ha gradito».
Lei ha un figlio di 9 anni, farà il cantante da grande o la sua generazione pensa piuttosto a fare l’influencer?
«Rayan adora la pizza e voleva fare il pizzaiolo ma adesso ha cambiato idea anche se non ha grandi pretese. Io però l’ho visto a 5 anni giocare con i Lego ed aveva una grande abilità nel costruire i grattacieli. Mah, forse diventerà un ingegnere».
BOBBY SOLO LTTLE TONY
A proposito di ragazzini. Ma è vero che lei da piccolo era un teppistello?
«Lo ammetto. A 14 anni con gli amici andavamo a rubare le motociclette degli innamorati che andavano a passeggiare a Villa Glori a Roma. Poi le smontavamo e i pezzi li vendevamo a Porta Portese. Per questo siamo stati arrestati ma non siamo stati portati in carcere. Poi con un altro amico durante le Olimpiadi di Roma del 1960 siamo andati a rubare i portafogli nello spogliatoio delle nuotatrici. Ma ci hanno scoperto e ci hanno arrestato e mio padre poi mi ha messo in castigo per un mese».
bobby solo in giappone
Se domani qualcuno decidesse di fermare la musica per sempre. Lei oggi che canzone canterebbe per l’ultima volta?
Bobby Solo si mette a cantare «Non c’è più niente da fare, non mi fanno cantare…» e poi aggiunge: «Spero che non accada mai, la musica è la mia vita, la mia corrente vitale».
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