Estratto dell'articolo di Simone Monari per www.repubblica.it
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Il 20 aprile compirà 76 anni, ma Gigi Maifredi è sempre lui. Quello del calcio champagne. Ogni frase un titolo, a volte un titolone. “Dopo la Juve non è che mi sono spento, ma ho mollato, sbagliando. Ho accettato diverse altre proposte, per guadagnare, ma non ero più io”.
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Maifredi, ovvero il gioco a zona . Ma tutti pensano a Sacchi.
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“Io dico sempre che la zona l’ho inventata io, con Zeman, che però era laggiù, dai. Sacchi viene dopo, a parte che Arrigo a Parma giocava a cinque. Ma a dirla tutta, se proprio vogliamo dare a Cesare quel che è di Cesare, il primo a fare la zona fu Catuzzi, a Bari, inizio anni ‘80. Enrico, bravo, e sfortunato. Io sono venuto subito dopo. Ci ragionavo, su quel calcio lì. Allora si giocava col tornante a destra, il fluidificante a sinistra, ma perché? Così m’inventai il calcio simmetrico. Quattro difensori con due centrali e due laterali, e davanti un riferimento con due ali, in mezzo un regista basso e due interni”.
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È il calcio champagne che diventerà famoso a Bologna. Quanto le è servito fare il rappresentante?
“Moltissimo, nelle relazioni umane, ovviamente. Prima vendevo champagne. Anzi, ferma: comincio all’Alemagna, anni ’70, panettoni e non solo, poi passo alla Stock di Trieste, liquori e distillati”.
[…] Alla Juve non andò.
“Io sono uno geniale, non ci piove”.
Modesto meno.
“Attenzione a non scambiare la presunzione con la personalità”.
In un’intervista a Xavier Jacobelli nel 2017 ha detto però d’esserlo stato, presuntuoso.
“Dicevo prima, sono geniale ma non ho grande volontà. Sono uno che dà tutto e subito. La presunzione sta lì, poi mi brucio, come Icaro. Chi va alla Juve è il Papa, io che oltretutto sono cattolico e vado a messa la domenica, mi sentivo così. Seduto alla destra di Dio, che era l’avvocato Agnelli. Solo che son stato Papa Luciani, con tutto il rispetto naturalmente. Voglio dire che sono durato pochissimo”.
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Poco accettato dall’ambiente? Ancora oggi c’è chi ricorda i problemi con Tacconi, il portiere di allora che non voleva fare il “libero”.
“Quante sciocchezze, Stefano era un bravissimo ragazzo, anche se capiva d’aver iniziato la parabola discendente della sua carriera, […] Solo che lui senza volerlo si prestava al gioco dei giornalisti, […] Il mio problema fu che avevo dimostrato a Bologna di essere il più bravo, e andai a Torino senza preparare nulla, convinto che bastasse. Pensavo d’aver già dimostrato, ma lì ogni mattina c’erano trenta giornalisti e venti televisioni. Non ci ero abituato. Era la mia prima vera occasione, magari mi sarebbe servita, dopo Bologna, un’altra esperienza. […]
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Torniamo agli errori.
“Avrei dovuto partire dalla devozione di alcuni della vecchia guardia nei confronti di Zoff, persona stimabilissima con cui avevano vinto Uefa e Coppa Italia facendo gruppo quasi contro il mio arrivo, avrei dovuto ritemprarli, convincerli. Non lo feci. Poi anziché provare a dare un’identità nuova e diversa alla Juve, pensai a riprodurre il Bologna e fu un altro errore”.
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L’avvocato Agnelli però avrebbe voluto farle firmare un triennale, all’inizio dell’avventura.
“Verissimo, e io gli dissi di no, che un anno sarebbe bastato, che io ero fatto così, lui non capì che era un atto d’amore verso il club, ma non scrivere così, io che dico che l’Avvocato non capì non sta bene. Forse neanche è vero”.
[…] Gli avesse dato retta?
“Sarei ancora lì, avrei vinto molto prima che i cinque anni che occorsero. Ma come dicevo, ci furono anche momenti belli, la squadra prese a giocare benissimo”.
Poi finì tutto a Marassi, contro la Samp.
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“Dopo un’ora di gioco in panchina, siamo 0-0, penso a quanto siamo bravi, mi dico ehi Gigi stiamo dominando la Samp prima in classifica”.
[…] Era metà febbraio del 1991.
“E mi girano i coglioni. Mollai. Invece avrei dovuto tener duro. Sarebbe servita la società, ma Montezemolo non c’era mai, veniva solo la domenica, per un allenatore la società è determinante, ti dà forza, sicurezza”.
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La leadership in panchina cos’è?
“Ci sono due tipi di leader. Il leader all’esterno, che deve essere autoritario, e quello all’interno, che deve essere autorevole. Io ho sempre preferito questa soluzione, devi avere personalità, basarti non sul potere di farti fare una certa cosa, ma sul convincimento, che è ben diverso”.
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[…] Fra l’altro Agnelli pensò a lei già nell’88, dopo la sua prima stagione in rossoblù.
«Una mattina squilla il telefono, risponde Bruna, mia moglie. ‘Pronto, sono Giampiero Boniperti’. E lei: “Certo, e io sono Grace Kelly”. E riappende. Va detto che di scherzi a casa mia i miei amici me ne facevano tanti in quel periodo. Il giorno dopo suonano alla porta, è il fiorista con un gigantesco mazzo di rose. Era di Boniperti, che fra l‘altro aveva richiamato subito”.
Un tecnico che ammira.
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“De Zerbi, bresciano, ambizioso, la Premier – allena il Brighton da metà settembre - gli farà bene perché lo obbliga a un altro tipo di calcio, tempo fa glielo dissi, non copiare troppo Guardiola”.
Mica è l’unico.
“Vero, quel suo tiki taka resta fantastico, ma aveva giocatori fantastici, lui stesso ha cambiato, guardate ora con Haaland, ha un riferimento e fa un altro calcio”.
Bravo a cambiare.
“Molto. E furbo anche di più, lui è il Dio degli allenatori e può fare quel che vuole. È uno che se fa la pipì a letto può dire che ha sudato”.
Meglio Ancelotti?
“Carletto è fortunato”.
Insomma…
“Quando andò via dal Bayern Lewandoski disse: ‘Ora la smetteremo di fare ‘sti allenamenti da asilo’. I bravi allenatori non sono necessariamente quelli che vincono, ma quelli che migliorano i giocatori”.
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[…]
Il calcio d’oggi?
“La Premier mi piace più della nostra A, campionato imperfetto, il più imperfetto di tutti, quello inglese. Il calcio ha bisogno dei contasti, se no diventa un gioco da fermo”.
Del Var che pensa?
“Funziona se non toglie personalità all’arbitro”.
[…]
Torniamo a Miami, e al Marocco.
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“Andrei solo, senza mia moglie, con un paio di collaboratori. Ma son restio. Miami sono oltre 12 ore di volo, è troppo. Il Marocco è molto più comodo. Fra poco dobbiamo prendere una decisione. Pensi che oltre vent’anni fa andai in Spagna, all’Albacete. Appena finiva la partita prendevo la macchina per tornare qui a Brescia, 1600 km. Sono fatto così”. […]
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