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    "IL CONFORMISMO POLITICO RESTA IL PRINCIPALE PROBLEMA ITALIANO" - PAROLA DI VITTORIO FELTRI CHE RICORDA QUANDO ARRIVÒ ALL'EUROPEO E LA REDAZIONE “ROSSA” REAGÌ CON DUE MESI DI SCIOPERO CONTRO IL DIRETTORE ”ANTICOMUNISTA”. IL MIO PERIODICO AZZOPPATO DAGLI SCIOPERI, OLTREPASSÒ PER UNA VOLTA 'L'ESPRESSO' E… - NELLA CARTA STAMPATA I SINISTRATI DETTANO LEGGE. CHI NON È DI SINISTRA VIENE OSTEGGIATO. ANCHE UNO STUPIDO CAPISCE CHE OGGI…"


     
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    Vittorio Feltri per “Libero Quotidiano”

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    Non si può negare che lo strapotere culturale della sinistra, lungi dall' ammorbidirsi, negli ultimi anni si è addirittura consolidato.

     

    Mentre i partiti progressisti perdono voti, la loro influenza sul costume cresce. Dal cinema alla letteratura, dalla musica al giornalismo, domina il conformismo in varie forme, il tutto coperto dal politicamente corretto che violenta perfino il vocabolario e induce la gente ad adeguarsi alle banalità verbali dilaganti.

     

    Molti pensano che questo sia un fenomeno dei nostri giorni tribolati, e in effetti esso si è di recente accentuato, tuttavia sono in grado di documentare che il suo inizio risale a parecchi anni orsono. Vi racconto una storia personale non per narcisismo, bensì perché mi pare esemplificativa.

     

    enzo biagi e indro montanelli enzo biagi e indro montanelli

    Correva il 1989. Ero inviato del Corriere della Sera, quando il presidente della Rizzoli, Giorgio Fattori, mi offrì la direzione dell'Europeo, storico settimanale, in quel periodo giù di tono, un po' in crisi. La proposta mi lusingò, eppure non ero propenso ad accettarla poiché nel giornalone di via Solferino mi trovavo da dio, il mio era il lavoro che avevo sempre sognato di fare: scrivere sui fatti della vita. Alla fine però cedetti alle pressioni dal momento che Fattori mi assicurò: «Se ti stuferai di fare il direttore del periodico, ti prometto, per iscritto, che potrai rientrare al Corriere nel posto che avevi lasciato». Non ebbi il coraggio di rifiutare. Mi presentai in redazione per cominciare la mia attività e il sindacato mi annunciò che i giornalisti erano in sciopero.

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    LO SCIOPERO

    Il motivo? Non gradivano il mio arrivo, non mi volevano tra i piedi. Ovvio, avevo fama di anticomunista. In realtà, a me le idee politiche altrui interessano meno delle mie, però nella carta stampata dettavano e dettano legge. Chi non è di sinistra, o almeno a sinistra non pende chiaramente, viene osteggiato.

     

    Ero convinto che la protesta nei miei confronti sarebbe durata al massimo una settimana, invece proseguì per la bellezza di due mesi, un primato mondiale di ostilità nei confronti di un dirigente. La speranza dei redattori era che mi stancassi di essere oltraggiato e demordessi mandandoli a quel paese. All'agitazione scomposta e triviale aderirono persino due miei amici, Rossetti e Jesurum, con i quali collaboravo ai programmi tv di Enzo Biagi.

     

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    Non avevano il coraggio di uscire dal gruppo dei resistenti e preferivano fare una figuraccia con me piuttosto che tradire (si fa per dire) i compagni di bandiera. Ridicolo. Si dà il caso che gli scioperanti, secondo le regole, non percepivano lo stipendio, mentre io lo incassavo. Questo dettaglio li costrinse a cedere per non morire di fame.

     

    Cosicché prendemmo a lavorare dopo un lungo periodo di astensione che danneggiò le tasche degli astenuti e teoricamente pure le casse del settimanale, fuori dalle edicole per 60 dì. Comunque fui assistito dalla fortuna: l'impero sovietico crollò e affidai il commento a Giulio Andreotti che vergò un capolavoro tale da imporre le mie pagine all'attenzione generale; poi scoppiò la guerra del Golfo che, grazie a Emilio Fede (diede la notizia di notte), cavalcai alla grande con una copertina memorabile.

    E le vendite dell'Europeo esplosero superando quota 150 mila, un trionfo. Non bastasse, commissionai a Furio Colombo, firma di lusso, un libretto dal titolo: «Perché Israele ha ragione».

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    L'INDIPENDENTE

    Un successo strepitoso, il mio periodico azzoppato dagli scioperi, oltrepassò per una volta L'Espresso. Fatto il pieno delle vendite ricevetti l'invito di assumere il comando dell'Indipendente, quotidiano nuovo, fondato da Ricardo Levi da un paio di mesi, e, pur di fuggire dai colleghi rossi, non miti rai indietro. Siglai un bel contratto e la mia prima mossa fu quella di liberarmi di qualche comunista che ammorbava il clima della redazione. Alla prima riunione, i colleghi mi bombardarono di domande a cui risposi vagamente, con qualche battuta.

     

    Tony Damascelli Tony Damascelli

    Tony Damascelli mi chiese furbescamente che cosa avrei conservato della gestione precedente. Risposi: la testata, dato che il resto era una specie di lapide mortuaria. In effetti, stravolsi il giornale trasformandolo in un organo aggressivo, anticomunista all'eccesso, filoleghista, avvinghiato alla inchiesta di Di Pietro, Mani pulite. Mitragliai la sinistra appiattita sulla Quercia di Achille Occhetto e, mentre i compagni mi attaccavano senza tregua, portai la diffusione dell'Indipendente ben oltre le 100 mila copie.

     

    ottone montanelli ottone montanelli

    Intanto l'Europeo, che avevo abbandonato in piena salute, passato sotto la direzione di una signora intelligente ma socialista, si ammosciò con la benedizione di Lamberto Sechi, e spirò quasi subito. Il decesso non mi ha rallegrato, tuttavia suppongo sia servito da lezione a coloro che mi avevano accolto a sputi in faccia perché non facevo parte della loro banda di marxisti. Ecco dimostrato che il conformismo politico non è roba fresca di mercato, bensì è datato. E addirittura uno stupido capisce che oggi quanto ieri è il problema italiano numero uno. Alla prossima puntata vi narrerò ciò che mi successe quando volsi a dirigere il Giornale in sostituzione di Montanelli. Ci sarà da divertirsi.

    vittorio feltri a non e' l'arena 2 vittorio feltri a non e' l'arena 2 vittorio feltri vittorio feltri

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