Davide Casati per il “Corriere della sera”
DAVID DAVIS
Sono le virgole, a far capire l'importanza di questa sfida. Le lingue utilizzate, i ricordi ripescati, le parole scelte con chirurgica perfidia. Perché quella tra David Davis e Michel Barnier non sarà una battaglia qualunque. Dietro, ci sono ruggini - personali, e non solo - di decenni; in ballo, le modalità con cui verrà eseguito il divorzio tra Unione Europea e Regno Unito.
Che la nomina del francese a capo negoziatore della Brexit per la Commissione europea abbia fatto sobbalzare l' intero mondo politico e finanziario britannico lo dimostra, prima di tutto, la reazione gelida di Downing Street.
Nessuna citazione del nome di Barnier, per cominciare. E l'insinuazione, nascosta nell' ordine delle istituzioni citate, che in fondo l' organismo di cui l' Innominato sarà mandatario conti ben poco, in Europa: «Siamo pronti a lavorare con i rappresentanti di Stati membri, Consiglio e Commissione».
MICHEL BARNIER
I commentatori conservatori hanno parlato di un «atto di guerra», o nella migliore delle ipotesi di una «provocazione», da parte di Jean-Claude Juncker, l' odiatissimo (dai britannici) presidente della Commissione. «È la sua vendetta», ha detto al Financial Times un banchiere di Londra.
Barnier, finora, ha detto solo di essere «onorato» di essere stato scelto (dall' uomo che lo ha sconfitto per la posizione di presidente dell' Ue) per questo compito «difficile». Lo ha fatto con un tweet replicato in tre lingue: ma il primo è stato in inglese.
Non un caso: specie se, nell'articolo che il quotidiano della City gli dedica, viene ricordata la sua scarsa confidenza con la lingua di Shakespeare, con le lezioni «prese durante tutto il periodo passato in Commissione», e la prima intervista concessa « quasi tutta in inglese».
DAVID DAVIS
Schermaglie, certo. Come certo è che Barnier sia un peso massimo della politica europea. Sessantacinque anni, in politica da 51, conservatore (ma mai vicino a Sarkozy), una lista infinita di passati incarichi tra cui spiccano quelli di ex ministro degli Esteri ed ex Commissario per il mercato interno e i servizi, Barnier è stato l' architetto delle riforme finanziarie seguite alla crisi del 2008 (nella City è ricordato come l' uomo che ha messo un tetto ai bonus dei banchieri).
Europeista convinto, conosce perfettamente l'intricata selva di norme e tecnicismi che regola gli accordi tra i 28.
BARNIER
Al tavolo su cui si negozierà per far calare, nei fatti, quel numero a 27, Londra ha messo David Davis: per Barnier, un gemello diverso. Sessantasette anni, anche lui conservatore sin da giovanissimo, anche lui con tre figli e un passato zeppo di incarichi, anche lui sconfitto alla sfida decisiva - da Cameron, nel 2005, per la leadership dei Tory.
Euroscettico convinto, è stato ministro per gli Affari europei tra il 1994 e il 1997: ed è allora che il suo destino si è incrociato con quello di Barnier. Nel 1996, i due fecero parte del «gruppo di riflessione» incaricato di studiare un nuovo Trattato dell' Ue, e che non approdò a nulla.
jean claude juncker
Anche grazie all' abilità da guastatore di «monsieur Non», come veniva chiamato (in francese) Davis. La traduzione inglese la fornì l'europarlamentare tedesco Elmar Brok: «Nebbia sulla Manica, il Continente è isolato». Fu allora che Davis, come Barnier, si conquistò la fama di negoziatore duro, pur se capace di slanci di pragmatismo.
theresa may
Quel che a Davis potrebbe mancare sono l' enorme competenza tecnica e la rete politica nell' Ue di Barnier. Caratteristiche che potrebbero essere decisive, specie trattando di specifiche come il «passaporto» per i prodotti finanziari della City. Molto dipenderà, però, dal ruolo che ai due sarà dato di ritagliarsi. In campo, per Londra, potrebbe scendere direttamente Theresa May.
E i capi di Stato e governo dell' Ue potrebbero, a quel punto, non indirizzare la discussione nel campo di Barnier. Se così non fosse, però, per il gollista appassionato di scalate in Savoia e il riservista dei Sas seguace del thatcherismo inizierebbe la sfida della vita.