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    BUGIE E BACI DI “SANDOKAN” – LA COLLABORAZIONE CON LA GIUSTIZIA DI FRANCESCO SCHIAVONE È GIÀ FINITA: TORNA AL 41 BIS PERCHÉ LE INFORMAZIONI CHE HA DATO NON SONO STATE RITENUTE CREDIBILI O UTILI – ROBERTO SAVIANO: “HA FATTO CENNI A FATTI MARGINALI, A ELEMENTI NOTI, PER EVITARE DI MORIRE IN CARCERE MA SENZA DANNEGGIARE GLI EQUILIBRI POLITICO MAFIOSI ESISTENTI. NON GLI È RIUSCITO DI INGANNARE. TUTTO ERA GIÀ SCRITTO NEL BACIO CHE SUO FIGLIO STAMPA SUL VETRO CHE LO SEPARA DAL PADRE QUANDO LO VA A TROVARE IN CARCERE. QUEL BACIO È UN SIGILLO DI OMERTÀ…”


     
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    Estratto dell’articolo di Roberto Saviano per il “Corriere della Sera”

     

    FRANCESCO SCHIAVONE SANDOKAN FRANCESCO SCHIAVONE SANDOKAN

    Francesco Sandokan Schiavone torna al carcere duro, al 41 bis. La sua collaborazione con la giustizia si interrompe appena iniziata. Le informazioni che ha dato non sono state ritenute credibili o utili. Ha fatto cenni a fatti marginali, a elementi noti, un tentativo probabilmente di evitare di morire in carcere ma evitando di danneggiare gli equilibri politico mafiosi esistenti. Non gli è riuscito (per ora) di ingannare.

     

    […]

     

    Dopo aver scontato più di trent’anni in carcere, Sandokan ha probabilmente pensato di avere un’unica strada, quella della collaborazione, per aggirare l’ergastolo ostativo che, per i reati più gravi, come quelli di stampo mafioso, azzera il diritto a ogni beneficio.

     

    Questa sorta di compromesso che è la collaborazione è una necessità dettata dall’incredibile fragilità dello Stato, che ha sempre meno uomini e risorse, e a cui le informazioni che arrivano dai collaboratori spesso servono per dare un’accelerazione alle indagini.

     

    FRANCESCO SCHIAVONE SANDOKAN FRANCESCO SCHIAVONE SANDOKAN

    Poi ci sono i casi in cui capi e affiliati si pentono perché considerano lo Stato particolarmente affidabile: è il caso di Gaspare Mutolo che quando conobbe Falcone sentì di poter raccontare quel che sapeva. È uno scambio, come durante un’intervista mi disse Maurizio Prestieri: ti do la verità in cambio voglio la libertà (o, più prosaicamente, uno sconto di pena).

     

    Nella vicenda Schiavone per me tutto era già scritto nella semantica di un bacio. Avete letto bene: un bacio. Quello che suo figlio Emanuele Libero Schiavone — Libero perché concepito in latitanza — stampa sul vetro che lo separa dal padre quando lo va a trovare in carcere. A Emanuele viene chiesto di lasciare Casal di Principe, ma lui è amareggiato per la scelta del genitore che porterà sulla propria coscienza i figli che non vogliono pentirsi per continuare a tenere in mano le redini del clan.

     

    FRANCESCO SCHIAVONE SANDOKAN FRANCESCO SCHIAVONE SANDOKAN

    Sandokan non ricambia il bacio che non è un segno d’amore ma un sigillo di omertà, la promessa del silenzio. Scambiarsi un bacio e, in questo caso, rispondere al bacio di Emanuele Libero, avrebbe significato per Sandokan rendere il figlio garante del proprio silenzio, ed esporlo massimamente alla vendetta perché era una consegna che Schiavone padre aveva deciso di non mantenere più.

     

    Poi le cose cambiano, almeno in parte, con una sventagliata di mitra a casa Schiavone, probabilmente opera dell’ala bidognettiana. Emanuele è già pronto a vendicarsi, ma viene arrestato e, con l’arresto, probabilmente gli inquirenti gli hanno salvato la vita. Morte o carcere, nessuna novità per lui: i figli dei boss sanno che carcere e morte sono parte della loro esistenza.

     

    FRANCESCO SCHIAVONE SANDOKAN FRANCESCO SCHIAVONE SANDOKAN

    Emanuele Libero ha poco più di trent’anni e già ne ha scontati 12 di carcere. Lui e suo fratello Ivanhoe — così chiamato per la passione di Sandokan per i romanzi di Walter Scott — quando il padre entra nel programma di collaborazione scappano a Napoli non sentendosi più al sicuro in provincia di Caserta. I due fratelli sono considerati morti viventi perché Bidognetti ha già dato l’ordine di ammazzarli.

     

    Emanuele Libero Schiavone, dopo l’onta della collaborazione farlocca del fratello Nicola — una collaborazione, come quella di Antonio Iovine, estremamente fragile — era tornato a Casal di Principe con l’obiettivo di riprendersi l’autorevolezza dissipata dal fratello Nicola.

     

    Schiavone quindi torna in carcere, ormai probabilmente persuaso di quanto Emanuele gli aveva lasciato intendere: ma come, dopo quasi trent’anni di carcere adesso chiedi di pentirti? Ogni anno di silenzio è un anno conquistato all’onore, è un anno che difende proprietà e potere, e tu che fai? Dopo un’intera vita buttata ti penti. Non era meglio farlo all’inizio?

     

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    Probabilmente Schiavone pensava di poter dire qualche chiacchiera senza spaventare il clan, ma un boss anche solo quando chiacchiera perde il suo potere. Eppure le regole stanno cambiando anche dentro le organizzazioni criminali. Un tempo pentirsi era da infami, ma la legge RICO, una legge statunitense, sta lentamente modificando il percepito e le regole sull’omertà. Per la legge RICO se un membro dell’organizzazione prende una condanna, tutti gli altri membri, anche se non hanno commesso quel fatto, subiscono la stessa condanna. Basta dimostrare il vincolo associativo. È un modo per distruggere l’organizzazione criminale. [...]

     

    Ecco quindi che la collaborazione diventa uno strumento per salvare il clan e non comporta automaticamente la perdita di peso e di influenza. Le mafie non vivono in compartimenti stagni, ma in osmosi, questa è la ragione per cui in Italia già osserviamo gli effetti della legge RICO anche se le procure non se ne sono accorte così come non se ne sono accorti molti osservatori.

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