Estratti dell’articolo di Tommaso Labate per 7 – Corriere della sera - https://www.corriere.it/sette/politica/23_dicembre_21/raffaele-fitto-gladiatore-maglie-rancore-mai-609f5210-99c3-11ee-97fb-911ff9649ac6.shtml
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meloni fitto salvini
La storia di Raffaele Fitto (…) prende forma da due foto. Una del 2015, l’altra di tre anni dopo.
La prima foto non è mai stata scattata. Se lo fosse stata, impressa sul negativo, ci sarebbe la faccia arrabbiatissima di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere ha appena rotto il Patto del Nazareno che lo vedeva al fianco di Matteo Renzi, l’uno all’opposizione e l’altro presidente del Consiglio, perché il secondo ha bypassato il primo nella scelta di Sergio Mattarella come presidente della Repubblica. Fitto, che del Patto del Nazareno era stato un avversario, ha imbastito dentro Forza Italia una sorta di opposizione interna, fatta di fedelissimi pugliesi e non, il tutto all’insegna di quel «te l’avevo detto» che Berlusconi non sopporta.
raffaele fitto
Il Cavaliere prova a serrare i ranghi. E, nel corso di un’assemblea che Fitto diserta, gli manda un ultimatum. «Hai quindici giorni di tempo per decidere se restare o andartene. Non si può essere contro sempre e comunque». Su un canovaccio del genere, la storia del centrodestra italiano aveva già sacrificato tantissime personalità di primo piano: da Gianfranco Fini ad Angelino Alfano. Per tutti, quindi, la storia di Fitto assume i contorni di un già sentito, già visto, come un giallo di quart’ordine in cui l’assassino è chiaro a tutti. Tre mesi dopo, con sempre minore interesse attorno a lui, fonderà un partito, Conservatori e Riformisti, di cui si perdono presto le tracce.
E la seconda foto? Ecco, qua siamo nell’estate del 2018, poco dopo le elezioni che avrebbero consegnato al Paese la strana maggioranza Cinquestelle-Lega e il governo giallorosso, guidato da Giuseppe Conte. Impresse su pellicola, stavolta, ci sono le facce di Giorgia Meloni e Raffaele Fitto. Quando gli capita di ripensarci, e nei giorni attuali di un potere ritrovato, persino maggiore di com’era in passato, il ministro delle Politiche comunitarie ricorda:
fitto salvini
«Io e Giorgia abbiamo sempre avuto rapporti amichevoli. Eravamo amici nel 2008, quando nel governo Berlusconi IV eravamo io ministro delle Regioni e lei della Gioventù. Dieci anni dopo, nel 2018, decido di entrare in Fratelli d’Italia. Che, segnalo, era data nei sondaggi a poco più del 2 per cento...»”. Qualche mese dopo, e siamo a domenica 26 maggio 2019, quelle percentuali sono triplicate. Fratelli d’Italia sale 6,44 percento. Ma quel che conta sono le preferenze che il tandem Giorgia-Raffaele mette nel palmares nella circoscrizione dell’Italia meridionale: 122.467 lei, 85.381 lui. È l’ora della risalita, l’ennesima.
Adesso, quando in privato gli chiedono quanto tema gli attacchi che riceve da altri pezzi della maggioranza (leggasi, la Lega di Matteo Salvini) a proposito di dossier come la fine del mercato tutelato delle bollette o il Pnrr, Fitto se la cava con un mezzo sorriso e invita a ricordare la situazione «quella sì, preoccupante» in cui si era venuto a trovare poco meno di dieci anni fa.
raffaele fitto giorgia meloni
I segreti di cotanta longevità politica? Il primo è l’assenza di rancore; o, meglio, il sapere quanto un sentimento così umano come il rancore personale sia nocivo per qualsiasi carriera politica.
(…) Decine di migliaia di preferenze l’hanno sempre tenuto in piedi nei momenti in cui la strategia languiva o la tattica sembrava disperata: dopo la sorprendente e bruciante sconfitta subita da Nichi Vendola alle Regionali pugliesi del 2005 (49,84% a 49,24%, la miseria di 14mila voti di scarto) e soprattutto dopo un’inchiesta per corruzione nella sanità durata undici anni, iniziata con un mandato d’arresto nel 2006, proseguita con una condanna in primo grado e poi con due assoluzioni, di cui l’ultima, definitiva, in Cassazione nel 2017.
raffaele fitto giorgia meloni
Se in questa storia c’è un momento che fa da spartiacque, di quei momenti che segnano una cesura tra tutto ciò che c’era prima e tutto quello che sarebbe venuto dopo, quel momento è l’ora di cena del 29 agosto 1988. La sera in cui l’allora presidente della Regione Puglia Salvatore Fitto, detto Totò, di soli quarantasette anni, muore insieme all’autista in un incidente stradale, lasciando la moglie Rita Leda, il secondogenito Raffaele e i suoi due fratelli.
«Quello cambia tutto. Tutto», ha ricordato per anni. Il ragazzo decisamente vivace - che vive di pallone (ha giocato in quarta serie e nella primavera del Maglie), motorini, discoteca e non disdegna qualche scazzottata - raccoglie un’eredità politica che altrimenti sarebbe sfuggita di mano. Parla al funerale del padre. Poi, qualche mese dopo, contro il volere di mezza Dc pugliese, «un po’ perché ero troppo giovane e un po’ perché temevano venissi eletto», si candida al consiglio regionale. Ed è un successo. La politica, da quel momento, assorbe tutto il resto: via il calcio, il motorino, la discoteca e le scazzottate.
giancarlo giorgetti raffaele fitto
Dieci anni dopo, a 31 anni appena compiuti, diventa presidente della Regione. «È un cavallo di razza, una mia protesi», dice di lui Silvio Berlusconi, arrivato a Bari nei primi Duemila a inaugurare da presidente del Consiglio la Fiera del Levante. Ai Fitto quella frase piace e non piace perché è un’arma a doppio taglio: apprezzata la prima parte sulla razza del cavallo, meno quella in cui il rampollo viene definita una protesi del leader nazionale. Tanto per capirci: in quegli stessi anni, monta a livello locale una piccola disputa a proposito dei luoghi della memoria dedicati dalla città di Maglie ai suoi figli più illustri: Fitto senior ne contava più dell’altro suo celebre concittadino, Aldo Moro.
alfredo mantovano giancarlo giorgetti raffaele fitto
Per quanto tenga a tenerlo protetto, del privato di Raffaele Fitto si conosce tantissimo. Si sa del legame strettissimo con la mamma Rita Leda, della moglie Adriana, dei tre figli, col primogenito che ha preso il nome del nonno paterno. Si è visto il rapporto col potere, come l’abbia coltivato, come abbia attraversato diverse ere geologiche della politica italiana, come lo conservi. E si intravede, anche se sembra invisibile a occhio nudo, quella tela intessuta tra Maglie, Bari, Roma, Bruxelles, che segue la scia infinita di viaggi che fanno avanti e indietro, sopra e sotto.
RAFFAELE FITTO E GIORGIA MELONI
Poi, a un certo punto della giornata o in un’ora X della settimana, prima di un confronto aspro con Salvini o di un incontro riservato con Ursula von der Leyen, c’è un uomo che rimane da solo, con una televisione o un impianto stereo. Ecco, la televisione trasmette l’ennesima replica di uno di quei film a metà tra lo storico e l’action movie, tipo Il Gladiatore , Troy , 300 , che ha visto e rivisto più volte. Dall’impianto stereo, arrivano invece le note di Ennio Morricone, le musiche delle colonne sonore che ha scritto per il cinema. Per una motivazione semplicissima. «Perché mi rilassano».
giorgia meloni giancarlo giorgetti raffaele fitto GIANCARLO GIORGETTI RAFFAELE FITTO sergio mattarella con fedriga, fitto, fontana e cirio sergio mattarella e raffaele fitto al festival delle regioni di torino giorgia meloni giancarlo giorgetti raffaele fitto