1 – SACRIFICI
Jena per “la Stampa”
Se Trump perderà le elezioni, George Floyd non sarebbe morto invano.
2 –"CHIEDIAMO GIUSTIZIA MA BASTA SACCHEGGI IN NOVEMBRE VOTIAMO PER CAMBIARE DESTINO"
Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
agente di polizia preme il ginocchio sul collo di george floyd minneapolis
terrence floyd
«E dopo che avremo distrutto le nostre comunità, le nostre case, i nostri negozi, cosa resterà? Ve lo dico io: non si muoverà nulla! Come sempre. Basta con i saccheggi, basta violenze. Dobbiamo farci furbi e cambiare strategia. Bisogna chiedere giustizia, ma usando i metodi pacifici, e andare a votare a novembre per cambiare il nostro destino».
Il fratello minore di George Floyd, Terrence, arriva da Brooklyn verso mezzogiorno.
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L' appuntamento è davanti al negozio Cup Foods di Chicaco Avenue, sull' asfalto dove si è consumato il crimine che sta incendiando l' America. Terrence scende da un suv nero, appoggiandosi agli attivisti dei diritti civili che lo hanno accompagnato. In testa ha un cappello nero da baseball di New York, e la sua faccia è coperta da una mascherina per proteggerlo dal coronavirus.
saccheggi usa
Sul lato destro della maschera c' è scritto «We Can' t Breathe», che è già un messaggio politico, perché allarga il grido di dolore pronunciato da George prima di morire a tutta la comunità afroamericana, forse a tutta l' America. Sul lato sinistro, però, c' è scritto «Justice for George», perché la condizione per avere la pace di cui ha bisogno il paese per risolvere i suoi conflitti razziali e sociali è la giustizia. Terrence si ferma davanti al murales che celebra suo fratello, si toglie il cappello, e piange. È un pianto sommesso, che si intuisce da come scrolla le spalle.
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I suoi accompagnatori lo tengono per mano, e lo aiutano ad andare davanti all' ingresso del negozio. Sul tratto di asfalto dove il ginocchio dell' agente Chaunvin ha soffocato George, ora c' è disegnata la sagoma della vittima. Terrence si inginocchia e l' accarezza, come se fosse l' ultima occasione per salutare suo fratello. Tutto intorno è calato il silenzio, nell' incrocio pieno di gente venuta a fargli omaggio.
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Terrence si alza, e va verso il podio per parlare con i giornalisti. Ma in realtà si rivolge a tutta l' America: «Salve, grazie per essere venuti, e per l' affetto che avete dimostrato a George. Così però non va». Cosa non va? «Io capisco la vostra rabbia, nessuno in questo momento può capirla meglio di me. Però quello che stiamo facendo nelle strade non va bene. I saccheggi, gli incendi, le violenze, a cosa servono? Forse riporteranno in vita mio fratello? È come quando ti ubriachi. Al principio, mentre l' alcol scende giù, può sembrare piacevole, ma quando poi ti risvegli dalla sbornia sei distrutto».
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La gente intorno a lui annuisce. Una donna che fa parte della sua delegazione lo incita: «Parla fratello, parla! Dicci la verità». Allora lui riprende: «George amava Minneapolis.
Si era trasferito qui da Houston per ricostruire la sua vita. All' inizio guidava i camion ed era contento. Lo sentivo spesso per telefono e le cose filavano lisce.
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Quello che gli è successo è orribile, e non lo meritava». L' unica via d' uscita ora è fare giustizia: «Gli altri tre agenti che erano con quello che lo soffocava, e non hanno fatto nulla per fermarlo, sono suoi complici. Devono essere arrestati e processati». Gli accompagnatori di Terrence mormorano, e lui alza un braccio: «La pace nella mano destra, e la giustizia nella sinistra. Ripetetelo con me: pace nella destra, giustizia nella sinistra!».
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george floyd
Questo, però è un compito delle autorità: «Non possiamo ottenere l' obiettivo con la violenza, commettendo altri reati che danneggiano solo la nostra comunità. Loro, gli avversari, si aspettano che facciamo qualcosa di stupido, ma noi dobbiamo sorprenderli, e comportarci da persone intelligenti». Qualcuno magari vorrebbe che Terrence incitasse la comunità nera alla rivolta, ma lui risponde così: «La mia è una famiglia pacifica, e nel nome di George vi chiedo di scegliere la pace. So che lui lo avrebbe voluto». Scegliere la pace, però, non vuol dire arrendersi: «Noi siamo più forti, non lo vedete? Siamo un sacco, un sacco, qui in questa strada e in tutto il paese. Facciamo sentire la nostra voce, protestando in maniera civile. E a novembre andiamo a votare alle presidenziali, per eleggere persone che capiscono il nostro dramma e vogliono aiutarci a risolverlo».
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