L’ECONOMIA CHE VERRÀ - DAL 2009, ABBIAMO CONTATO SU TRE ALLEATI: BANCHE CENTRALI STAMPA-DENARO, MERCATI IN QUASI COSTANTE ASCESA E LA CRESCITA DELLA CINA - NEL 2015, QUESTE TRE TRAVI PORTANTI DELL’ECONOMIA MONDIALE BARCOLLERANNO

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Francesco Guerrera* per “la Stampa”

*caporedattore finanziario del Wall Street Journal a New York

francesco guerrerafrancesco guerrera

 

Sono di ritorno dal Texas, terra di cowboy e rodei, di praterie e deserti ma soprattutto di benzina a prezzi stracciati. Da Marfa, il paesino degli artisti, a Austin con i suoi musicisti, dalla San Antonio dei canali «veneziani» alla Dallas dei petrolieri, il filo conduttore del mio viaggio natalizio è stato pagare solo venti dollari per un pieno.

 

Non sono solo. Per la prima volta dal 2010, milioni di americani amanti del volante stanno sborsando meno di due dollari al gallone (circa quattro litri) per rifornire i loro mezzi di trasporto mastodontici. Babbo Natale quest’anno ha lasciato le renne a casa ed è arrivato col pickup. Un 2014 tutto sommato prevedibile si chiude con un colpo inaspettato.

PETROLIOPETROLIO

 

Il crollo clamoroso del prezzo del petrolio che potrebbe ridefinire il quadro geopolitico in Medio Oriente e Russia e dare nuovo impeto alla ripresa degli Usa. Continuerà? La domanda è sulla bocca di banchieri centrali, politici e operatori di Wall Street in quest’inizio di 2015.

 

Continuerà? Non solo, ovviamente, il ribasso del greggio ma ciascuno dei temi economico-finanziari dell’anno appena passato: la salita vertiginosa dei mercati americani, lo stimolo delle banche centrali di mezzo mondo e il senso, percepibile anche se non universale, che ci stiamo finalmente lasciando alle spalle il retaggio traumatico della crisi finanziaria del 2008.

 

SHALE OILSHALE OIL

Dei tre, l’ultimo è il più sicuro. A quasi sette anni dal crollo di Lehman Brothers, il pianeta guarda al futuro e non al passato. Le economie stanno ricominciando a seguire normali cicli di crescita e contrazione (l’Europa, come vedremo dopo, è un’eccezione), le banche sono ritornate, più o meno, a fare il proprio mestiere e i consumatori sono usciti dall’incubo di debito e disoccupazione che li ha attanagliati per mezzo decennio. Come mi ha detto un veterano di Wall Street, «abbiamo ormai raggiunto lo stato di “closure”», la chiusura emotiva consigliata dagli psicologici nei casi di choc.

 

Ma le certezze finiscono qui. L’anno nuovo è l’inizio di un periodo di rottura con gli equilibri del dopo-crisi. Mi spiego. Sin dal 2009, investitori, aziende e comuni mortali hanno potuto contare su tre alleati fondamentali: banche centrali stampa-denaro, mercati in quasi costante ascesa e la crescita stratosferica della Cina.

janet yellenjanet yellen

 

Nel 2015, le tre travi portanti dell’economia mondiale barcolleranno. La prima è ovvia. Janet Yellen, la capa della Federal Reserve l’ha ormai detto in tutte le salse: lo stimolo è finito e quest’anno i tassi d’interesse americani saliranno, per la prima volta dal 2006, per estinguere ogni barlume d’inflazione. La Trinità Dello Stimolo – Federal Reserve, Banca Centrale Europea e Banca del Giappone – perderà il suo membro più illustre.

L’addio annunciato della Fed sta già avendo conseguenze importanti, soprattutto sulle monete.

 

Le regole dei mercati sono chiare: il capitale va dove viene pagato di più e la signora Yellen promette un ottimo prezzo. I grandi fund manager stanno lasciando i Paesi emergenti e l’Europa per mettere i soldi negli Stati Uniti. Questa riscoperta dell’America sta rinforzando il dollaro nei confronti dell’euro e dello yen, un trend che è destinato a continuare se i tassi aumentano e che renderà la vita difficile per gli esportatori Usa.

 

Le due banche centrali lasciate orfane dalla Fed dovrebbero preoccuparsi. Senza il Grande Fratello americano sarà dura stimolare le economie moribonde di Europa e Giappone, soprattutto quando i capitali si dirigono altrove.

Mario Draghi Mario Draghi

 

I mercati sono nella stessa barca. Gli anni di grazia del periodo D.C., dopo crisi, stanno per finire. Gli investitori in azioni e obbligazioni sono stati i più grandi beneficiari della munificenza governativa provocata dal crash di Lehman. Drogati da denaro a poco prezzo, le borse e i bond si sono scatenati.

 

Lo Standard & Poor’s 500, l’indice-guida del mercato americano, è salito di più del 130% dal 2009, distruggendo record dopo record. I primati non la dicono nemmeno tutta. Nei mercati, la psicologia collettiva spesso conta più dei numeri e il morale degli investitori è alle stelle, un pessimo segnale per il futuro. Come mi ha detto un fund manager che è riuscito a resistere all’euforia di massa: «Ora, l’unica direzione è in giù».

 

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Non è completamente vero. Con un’economia americana in ottima salute, il dollaro forte e un aumento dei tassi controllato e misurato non deraglieranno automaticamente né la ripresa né i mercati. Il problema è che dopo anni di crescita, molte azioni sono a prezzi altissimi e ci sono tracce di bolle in settori quali la tecnologia. Il cambio di marcia della Fed potrebbe semplicemente essere il casus belli, il momento in cui gli investitori si accorgeranno di essere stati troppo ottimisti, troppo a lungo.

 

Ma se per le borse ci sono dei dubbi, per le obbligazioni il destino è segnato: dopo un periodo di crescita incredibile, l’aumento dei tassi Usa ridurrà le rendite e abbasserà i prezzi di quasi tutte le obbligazioni. Aziende grandi e piccole faranno molto più fatica a rastrellare soldi sui mercati e le più deboli e indebitate finiranno in bancarotta.

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La trama del 2015 per Usa, Europa e Giappone quasi sicuramente non prevede l’arrivo di un deus ex machina. Nell’ultimo decennio, quel ruolo è stato ricoperto dalla Cina. Grazie alla sua crescita esponenziale, Pechino è riuscita più volte a salvare l’economia mondiale. Quando i Paesi sviluppati volevano comprare passeggini, televisioni e bambole a poco prezzo, fu la Cina a venderglieli.

 

Quando, durante la crisi, l’America e l’Europa avevano bisogno di capitale, fu proprio il dragone cinese a venire in aiuto. E quando altri Paesi in via di sviluppo, come il Brasile, la Malesia e il Vietnam, erano in cerca di crescita, si volsero verso il commercio con il Paese comunista più capitalista del mondo.

 

Xi JinpingXi Jinping

Non più. La Cina continuerà a crescere ma meno che in passato perché la sua economia sta maturando e fattori demografici la stanno privando delle masse di lavoratori che aveva in passato. Il governo del Presidente Xi Jinping sembra avere politiche forti e decise ma non sarà facile spingere una locomotiva di quelle proporzioni alle velocità di crociera del passato, nemmeno in un Paese così autoritario e dirigista.

 

Un anno finisce, un altro comincia. Capita ogni dodici mesi. Questa volta, però, il cambio di pagina del calendario segna la fine delle certezze di mezzo decennio. Prepariamoci al nuovo.

 

 

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