
DAGOREPORT - COSA FRULLA NELLA TESTA DI FRANCESCO MILLERI, GRAN TIMONIERE DEGLI AFFARI DELLA…
1- E SI PENSA ALLE RISERVE AUREE ITALIANE PER SOCCORRERE LE NOSTRE BANCHE
Roberto Petrini per "la Repubblica"
E´ l´ultima spiaggia. La carta della disperazione. Sta chiusa nei cassetti del governo e potrebbe venire fuori quando saremo con le spalle al muro, ad un passo dal default. E´ l´operazione "oro di Bankitalia". I presupposti del diabolico meccanismo sarebbero due: il primo è che l´Italia è il terzo paese al mondo per consistenza di riserve auree (dopo Stati Uniti e Germania) con 2.451,8 tonnellate di metallo giallo nei propri forzieri. Il secondo è che il prezzo dell´oro dopo la crisi del 2007 è schizzato da 667 dollari l´oncia ai 1.756 di venerdì, elevando il valore teorico del patrimonio di Bankitalia del 163 per cento a quota 152 miliardi di dollari, circa 110 miliardi di euro.
Un patrimonio enorme, quello di Via Nazionale, che aveva già suscitato l´interesse del governo Prodi (che suggeriva vendite per finanziare lo sviluppo e fu attaccato violentemente in quella occasione dal centrodestra) e dello stesso Tremonti, che nel 2009 tentò di tassare le plusvalenze sull´oro di Bankitalia, ma fu bloccato dalla Bce di Jean-Claude Trichet. «Siamo sicuri che l´oro sia della Banca d´Italia e non del popolo italiano?», disse il ministro dell´Economia in Parlamento.
Oggi la situazione è assai più critica sia sul fronte del debito sovrano sia su quello del debito bancario: c´è la necessità di collocare nell´ "anno terribile" 2012, circa 400 miliardi di titoli di Stato e una montagna di obbligazioni bancarie, pari a oltre 100 miliardi, che verranno a scadenza.
La prima opzione, in esame, dice in parole povere: le grandi banche italiane, da Intesa a Unicredit, sono formalmente le azioniste della Banca d´Italia e dunque «proprietarie» anche delle riserve auree, in caso di necessità dunque la «controllata» Bankitalia potrebbe sottoscrivere direttamente le obbligazioni bancarie. La seconda opzione prevederebbe che le banche stesse emettano obbligazioni garantite dall´oro che rappresenterebbe un «collaterale» in grado di sfidare qualsiasi diffidenza dei mercati.
La terza opzione è ancora più schematica: siccome Bankitalia ha registrato delle vertiginose plusvalenze da oro, gli azionisti-banche ne beneficino e utilizzino le risorse per ricapitalizzarsi. C´è infine una variante, che cammina in parallelo: quella del debito sovrano. E´ chiaro che se il Tesoro potesse emettere una serie speciale di Bot agganciata all´oro di Bankitalia supererebbe di slancio molti problemi di credibilità .
Tuttavia l´operazione fa i conti senza l´oste. Ovvero la Banca d´Italia. Come è accaduto ieri la Bundesbank ha posto un immediato «no» all´ipotesi di mettere nell´attivo del Fondo salva stati l´oro delle banche centrali e in particolare quello tedesco. Anche Via Nazionale potrebbe avanzare più di una riserva.
Ma la partita che si sta giocando attorno all´oro, nel mezzo della grande crisi finanziaria, è forse più ampia. In modo articolato e ispirato ad uno spirito europeo, Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio, nelle settimane scorse hanno proposto un Fondo finanziario europeo, con capitale costituito da riserve auree degli Stati membri, finalizzato ad abbattere il debito pubblico e rilevare 2,3 trilioni di titoli di Stato Uem. Anche in questo caso l´Italia sarebbe chiamata a conferire per la propria partecipazione 79 milioni di once di riserve auree.
Certo è che la partita dell´oro, dopo la crisi dell´economia di carta, è destinata a tenere banco. Molte banche centrali, dalla Cina all´India, negli ultimi mesi hanno fatto ingenti acquisti di metallo giallo. E la settimana scorsa il presidente venezuelano Hugo Chavez ha fatto scattare la nazionalizzazione della produzione di oro e il rimpatrio delle riserve valutarie per 211 tonnellate, pari a 16 mila lingotti, detenute in Inghilterra, Svizzera e Usa. Un´operazione che pare abbia destato la curiosità dello stesso Berlusconi.
2- "LA BCE PUÃ SMETTERE DI COMPRARE BOND ITALIANI" - MERSCH: BINI-SMAGHI HA UN MANDATO DI 8 ANNI, IL PASSAPORTO NON CONTA
Tonia Mastrobuoni
Che banca? Per Mersch la Bce non può diventare un «prestatore di ultima istanza»; invece, i Trattati vanno cambiati per non lasciare «orfana» Eurolandia, che ad oggi può contare solo su Francoforte. Il «teatrino politico» su questo tema, non va bene
Il governatore lussemburghese Giurista di formazione, Yves Mersch ha lavorato negli anni â90 al ministero delle Finanze e ha contribuito alla definizione del Trattato di Maastricht. Ã l'unico banchiere centrale che siede nel Direttorio della Banca centrale europea sin dalla sua fondazione
Yves Mersch è netto. Non dobbiamo dare affatto per scontata la «ciambella» degli acquisti dei titoli di Stato da parte della Bce: «il nostro compito non è rimediare agli errori della politica». In quest'intervista il governatore della Banca centrale del Lussemburgo - l'unico nel direttorio sin dalla fondazione della Bce - rivela anche come ha interpretato l'arrivo di Draghi alla presidenza e perché Bini Smaghi ha ragione da vendere.
Cosa pensa dell'acquisto di bond?
«Dovrebbe essere limitato nella quantità e nel tempo e avere come unico obiettivo quello di garantire il pieno meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Ma se osserviamo che i nostri interventi vengono minati dai mancati sforzi dei governi nazionali, dobbiamo porci il problema degli incentivi».
Vuol dire che smetterete di comprare titoli se l'Italia non riuscirà a fare le riforme che ha promesso alla Ue?
«Se il board della Bce arriva alla conclusione che le condizioni che lo hanno spinto a prendere una decisione non esistono più, è libero di cambiare questa decisione in qualsiasi momento. à il contenuto perenne delle nostre discussioni».
Giovedì il neogovernatore, Mario Draghi ha schivato una domanda. Cosa succederà quando il fondo salva-Stati Efsf sarà pienamente operativo? Lei pensa che la Bce dovrebbe interrompere le operazioni straordinarie, come affermava Trichet?
«Non penso che abbiamo cambiato filosofia. Ma tenga conto che su questo aspetto non esiste un vincolo specifico. Noi ci attiviamo se i Governi si comportano in modo tale da garantire la stabilità finanziaria dell'Eurozona».
Teme, come qualche osservatore, che Draghi guardi più alla situazione economica che alla stabilità dei prezzi?
«Come il suo predecessore è impegnato nella continuità della politica monetaria che si preoccupa proritariamente di garantire la stabilità dei prezzi. Ed è giusto così».
Cosa pensa della situazione italiana?
«Ogni Paese ha una responsabilità . Finché molte decisioni economiche vengono prese esclusivamente a livello nazionale, si arriva regolarmente a effetti di contagio. Questa consapevolezza non è ancora abbastanza diffusa. Si continuano a prendere decisioni guardando solo all'elettorato, anche se gli effetti riguardano anche i non elettori, dentro e fuori il Paese».
Papandreou è finito nel tritacarne per il referendum sull'accordo europeo. Ma non pensa che anche la decisione di Angela Merkel di far passare l'accordo nel Bundestag danneggi i meccanismi decisionali?
«Queste decisioni indicano che sta cambiando il clima. I Trattati attuali non sono conciliabili con una crisi che ha raggiunto dimensioni europee. Abbiamo un problema di governance. Non è neanche pensabile che la legittimazione democratica di alcune decisioni sia sottratta al livello nazionale senza che ci sia un processo di legittimazione sul piano europeo.
Siamo in una fase di transizione e dobbiamo andare verso una modifica dei Trattati che si concentri sulla legittimazione democratica e sulla divisione delle responsabilità tra livello nazionale ed europeo. Non solo al livello del Consiglio europeo, ma anche per il Parlamento e la Commissione. Tra l'altro, queste ultime sono istituzioni che rappresentano l'Europa a 27, mentre l'Eurozona è orfana, a parte la Bce, di istituzioni specifiche. Anche il teatrino politico cui assistiamo in questa fase non mi convince. Abbiamo bisogno di risposte serie».
La Bce può diventare un "prestatore di ultima istanza"?
«Non siamo affamati di potere e non vogliamo mandati ulteriori. Siamo molto soddisfatti con il compito che ci è stato attribuito dal Trattati. E siamo orgogliosi, come dice Trichet, di soddisfarlo. La nostra preoccupazione, tuttavia, è che il nostro compito venga aggravato se altri settori della politica, sui quali non abbiamo il controllo, non si attengono alle loro responsabilità . Il nostro compito non è quello di rimediare agli errori della politica».
Cosa pensa dell'asse franco-tedesco? Non rischia di minare ulteriormente le istituzioni europee?
«In passato è stato efficace. Ma è come un carro con due ruote: se una delle due è più grande, il carro gira in tondo. D'altra parte, senza ruote il carro si fermerebbe».
In Italia si parla molto del caso Bini Smaghi. Lei cosa ne pensa?
«Ha un mandato di otto anni. Non c'è scritto nel Trattato che se uno viene da uno specifico ministero del Tesoro ha il diritto a un posto nel direttorio Bce. Lo spirito dei Trattati è che ognuno di noi dovrebbe lasciare il passaporto nel guardaroba, quando partecipa alle riunioni».
Non pensa che questa discussione sia un po' ipocrita? Il Trattato dice anche che la nomina dei membri è politica, passa attraverso il Consiglio europeo. E lì contano le bandiere.
«Questo atteggiamento non rispetterebbe l'indipendenza della Bce. à importante che la politica capisca che le ambizioni nazionali non sono accettabili. Se questo fosse il principio, andrebbero cambiati i Trattati. Siamo federati, non intergovernativi. Siamo banchieri centrali nominati personalmente, non rappresentanti dei Paesi. Questo viene spesso frainteso».
Lei è considerato un falco: con le dimissioni di Weber e Stark i falchi sono diventati più deboli nella Bce?
«Le mie conoscenze ornitologiche sono insufficienti. Ma a quanto mi risulta le colombe sanno essere molto crudeli: a volte beccano i piccoli. Nei falchi il senso della famiglia è molto più sviluppato».
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