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DEFLAZIONE DA DEPRESSIONE - NEL 1959 L’ITALIA SPERIMENTO’ L’ULTIMO ANNO DI CALO DEI PREZZI, MA ERA IN PIENO BOOM E IL PIL CRESCEVA DEL 7% - ADESSO LA SITUAZIONE È DIVERSA, L’ECONOMIA NON TIRA ANCHE SE C’È IL BAZOOKA DI DRAGHI E IL CALO DEL PETROLIO

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Lorenzo Salvia per il “Corriere della Sera”

 

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Adesso è il petrolio, l’altra volta era il vino. L’altra volta è il 1959, quando l’Italia sperimentò l’ultimo anno di deflazione della sua storia. Cominciò a marzo, mentre la Dc sceglieva Aldo Moro come segretario, e Fellini iniziava a girare La Dolce vita . Andò avanti per qualche mese, fino a settembre. E fu proprio il vino a guidare quella discesa dei prezzi che allora non fece paura. Un litro di rosso arrivò a costare 138 lire, 13 meno dell’anno precedente. Un record. Scesero anche le bevande non alcoliche, che nelle rilevazioni dell’epoca si limitavano a due voci: acqua gassata san Pellegrino e acqua minerale Fiuggi. Scese tutto il settore alimentare.

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Era il rimbalzo al contrario di un Paese che usciva dalla guerra, da anni di fame. La produzione alimentare era salita in maniera formidabile e questo aveva fatto scendere i prezzi. Non fu un problema e poi vedremo perché. Ma il rischio era lo stesso dei nostri giorni. Perché dietro la vita ai tempi della deflazione c’è un meccanismo semplice, un meccanismo psicologico.

GIOVANNI VECCHI TOR VERGATAGIOVANNI VECCHI TOR VERGATA

 

Spiega il professor Giovanni Vecchi, che ha appena finito di parlare della Grande depressione del ‘29 agli studenti del corso di storia economica nell’Università di Tor Vergata: «Se i prezzi cominciano a scendere, uno rimanda a domani la spesa che potrebbe fare oggi». Vale per le aziende, che prendono tempo sugli investimenti. Vale per tutti noi, che aspettiamo prima di comprare la tv o cambiare la macchina. «All’inizio ci può essere pure una sensazione piacevole — continua il professore — perché uno è convinto di risparmiare qualcosa. Ma alla lunga diventa un problema».

 

Se uno compra meno, i prodotti si accumulano nei magazzini. Allora le aziende licenziano o pagano meno, chi ci lavora taglia i consumi. E si ricomincia da capo. Eppure nel ‘59 non andò così. Anzi.

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Il 25 maggio di quello stesso anno, dunque nel pieno della deflazione, il quotidiano inglese Daily Mail pubblica una corrispondenza da Roma che diventerà famosa. «Il livello di efficienza e prosperità del sistema produttivo italiano — diceva l’articolo — costituisce uno dei miracoli economici del continente». Era nato il miracolo italiano. Perché i prezzi saranno pure scesi, ma nel ‘59 il Prodotto interno italiano salì del 7%.

 

Come la Cina del periodo d’oro. C’era un Paese intero che comprava: le famiglie italiane non possedevano nulla e avevano bisogno di tutto. In una decina d’anni le automobili passarono da 340 mila a 2 milioni. Cinque volte tanto. Nel 1947 la Candy produceva una lavatrice al giorno, per stare dietro alla domanda nel giro di pochi anni diventeranno una ogni 15 secondi. L’economia tirava. Per uscire dalla deflazione non servì fare nulla.

FEDERICO POLIDOROFEDERICO POLIDORO

 

Stavolta invece? «Il rischio deflazione nel 2016 è legato soprattutto all’andamento dei prezzi del comparto energetico, pur in presenza di un raffreddamento generale dell’indice», dice Federico Polidoro, dirigente del servizio prezzi al consumo dell’Istat. L’energia di oggi pesa nel famoso paniere di beni e servizi quasi come i generi alimentari dell’Italia del boom. Il meccanismo psicologico che c’è dietro è lo stesso di allora. Ma per tirarci fuori non possiamo aggrapparci a un’economia che tira al 7% dell’anno. Perché quell’economia non c’è.

 

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Resta il bazooka della Banca centrale europea, che finora non ha dato i risultati sperati. Restano le riforme per sostenere l’occupazione e la crescita. Restano, a seconda dei punti di vista, gli investimenti pubblici o la teoria dell’elicottero di Milton Friedman, con i soldi messi direttamente nella disponibilità dei consumatori bypassando le banche. Oppure bisogna andare più indietro nel tempo.

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«La deflazione del 1959 — dice Gianni Toniolo, professore di storia economica alla Luiss di Roma — è durata troppo poco per fare paragoni con i rischi di adesso». Secondo lui il vero confronto va fatto con la deflazione del periodo del fascismo. Allora in Italia i prezzi scesero per cinque anni di fila, dal 1930 al 1934. Il metodo di calcolo era diverso, vero. Ma il meccanismo del compra domani quello che puoi comprare oggi fu lo stesso.

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Allora se ne uscì anche grazie alla guerra e ai suoi preparativi, che fecero salire la spesa dello Stato. Non è una buona idea, naturalmente. Non solo per la morte, la distruzione e gli orrori che porta. Ma anche per i prezzi. Nel 1944 l’Italia era decisamente fuori dalla deflazione: i prezzi erano saliti del 344,4% rispetto all’anno precedente. Nessuno rimandava gli acquisti. Più semplicemente non c’era nulla da comprare.