DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
1. PATRIOTI SALVI: L'AUMENTO DI CAPITALE (DI POSTE E BANCHE) PER VENDERE A MIGLIOR PRESSO AD AIR FRANCE
Giorgio Meletti per "Il Fatto Quotidiano"
Tutto come previsto. Il consiglio d'amministrazione di Alitalia ha varato ieri sera l'aumento di capitale che impedisce il collasso dell'azienda. Lunedì lo porterà all'approvazione dell'assemblea degli azionisti, che voteranno serenamente sì, tanto ormai sono quasi tutti fuori della partita. Formalmente l'aumento di capitale è la richiesta ai soci di mettere altri capitali in azienda, in proporzione alle quote azionarie possedute. Ma l'azionista non è obbligato a sottoscrivere.
à stato deciso di chiedere 300 milioni, sufficienti a dare un altro anno di vita all'azienda ormai decotta. Il primo azionista, Air France, ha il 25 per cento delle azioni, e quindi dovrà mettere 75 milioni. Escludendo poi gli azionisti che sono in galera, quelli che non hanno più una lira e quelli che, come direbbe il presidente Napolitano, se ne fregano, rimangono la Immsi della famiglia Colaninno (ha il 7,1 per cento e la sua quota sarà 21 milioni) e Atlantia dei Benetton, che è chiamata a versare 21 milioni. Siamo a 123 milioni, e qui arrivano i nostri. Poste Italiane si è dichiarata disposta a versare 75 milioni per sottoscrivere azioni inoptate (cioè quelle degli azionisti scomparsi).
Unicredit e Intesa Sanpaolo sono disponibili a versare a loro volta 100 milioni di ulteriore inoptato. Siamo arrivati a 298 milioni. I patrioti sconfitti ci mettono solo 50 milioni, il resto lo paga Air France (che quindi si conferma nuova padrona di fatto, chiacchiere a parte) e soprattutto lo Stato e le banche.
Il comunicato emesso ieri sera da Alitalia è stupefacente: "L'intero Consiglio di Amministrazione ha espresso viva soddisfazione per l'approvazione di una manovra fondamentale che - con una imponente iniezione di mezzi freschi - pone solide basi per il futuro della Compagnia". Solide basi? Vediamo.
Unicredit e Intesa ci mettono 100 milioni di capitale, oltre a 200 milioni di ulteriori prestiti, perché devono a ogni costo evitare il commissariamento, un default che significherebbe per loro perdere i crediti che vantano verso Alitalia (in tutto i debiti sono di circa un miliardo, ma secondo Il Sole 24 Ore un calcolo più attento potrebbe arrivare a due miliardi).
Ma già almeno un mese fa, quando è entrata nel vivo la trattativa tra Air France e Colaninno per la prevista traslazione della ex compagnia di bandiera sotto controllo francese, lo scontro si è fatto durissimo. Air France chiedeva la bad company che si tenesse i debiti in modo da prendersi una compagnia "pulita". Esattamente ciò che Silvio Berlusconi consentì a Colaninno nel 2008, solo che allora i debiti li pagò lo Stato perché Alitalia era pubblica, adesso non li pagherebbe nessuno.
Obiettivo dell'aumento di capitale è convincere Air France a prendersi anche i debiti, magari lasciandole mano libera su licenziamenti e taglio delle rotte, contrariamente a quanto si sta strillando in questi giorni. Per questo è cominciata una drammatizzazione ben orchestrata, complice il consueto coro di politici e sindacalisti, per far credere che il commissariamento di Alitalia avrebbe comportato il blocco degli aerei e il collasso irreparabile.
Come se nel 2008 Alitalia non fosse stata commissariata e non avesse continuato a operare regolarmente sotto il commissario Augusto Fantozzi per ben 4 mesi prima di passare ai patrioti. Decisivo per acuire il clima di allarme (Alitalia doveva esplodere oggi o domani se non fosse intervenuto il cda di ieri) l'intervento del numero uno dell'Eni, Paolo Scaroni, che ha annunciato ufficialmente la cessazione delle forniture di carburante all'Alitalia perché morosa per 30 milioni di euro.
Una cifra risibile per l'Eni, ma utile per costruirci sopra il romanzo del "default questione di ore". E così, mentre il presidente Colaninno diceva ancora a luglio che tutto andava benissimo e che Alitalia non aveva nessun bisogno di nuovo capitale, è diventato improvvisamente indifferibile il reperimento di denaro pubblico da regalare ai patrioti.
Dopo il no secco del duo di testa della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, che hanno anche minacciato le dimissioni, e quello di Mauro Moretti delle Fs, il premier Enrico Letta ha finalmente incassato il sì di Massimo Sarmi, numero uno delle Poste. Che la prossima primavera scadrà , e dovrà chiedere a Letta il rinnovo del mandato. Proprio come Scaroni.
2.
SALVARE ALITALIA Ã L`ULTIMO BLUFF
Alessandro Penati per "La Repubblica"
Difficile spiegare la reazione che si prova a vedere un primo ministro e il suo collega dei Trasporti in pellegrinaggio da tutte le aziende pubbliche, solo per celare una realtà evidente: Alitalia è fallita. Bussano alla porta delle Ferrovie dello Stato: si presterebbero a fondere, primo caso al mondo, treni e aerei, con la variante "aerei in dissesto cronico + carrozzone di Stato".
Per bloccare tale assurdità , arriva il provvidenziale veto dell'Antitrust europeo. Poi tentano con Fintecna: «No grazie. Abbiamo già dato»; nel 2006 il governo di turno gli aveva rifilato 9000 dipendenti dei servizi di terra di Alitalia. Tocca alla Cassa DDPP: «Con il risparmio postale ci avete fatto comprare e finanziare di tutto (Sace, aeroporti, reti, mutui e prestiti, debiti della pubblica amministrazione, Ansaldo, Finmeccanica, Snam, Eni, fino a Surgital e le Generali da Bankitalia). Ma Alitalia proprio no». Allora, vanno direttamente alle Poste, che accettano, spacciando la favola delle sinergie con la loro aerolinea (incredibile ma vero).
Così, le Poste, bruciano 75 milioni solo per far volare Alitalia ancora qualche mese. Altri 75 li mettono Intesa e i Benetton. Intesa, per difendere l'esposizione delle banche (e sua in particolare) di quasi 1 miliardo, più altri 300 milioni tra nuovi crediti e consorzio di garanzia: ma è prioritario evitare altre sofferenze.
I Benetton, per difendere l'hub di Roma, a beneficio di AdR, appena fusa in Atlantia, e ingrassata dall'aumento tariffario appena concesso dal Governo (più investimenti sui terreni dei Benetton). Si fa finta che i capitani coraggiosi siano disposti a sborsarne altri 75; ma saranno le banche del consorzio a farlo. Tutto questo solo per migliorare la posizione negoziale con Air France e "costringerla" a versare la sua quota per rimanere azionista, potendo sperare così in una vendita futura, a condizioni migliori delle attuali, indigeribili.
Air France, fatta entrare a suo tempo con una quota di minoranza, ha di fatto un'opzione a trattare in esclusiva. Così, ha lasciato che Alitalia cucinasse a fuoco lento, e marciasse verso il fallimento; per poi offrire di rilevarla per un tozzo di pane: orrore per gli azionisti, che vedono andare in fumo l'obolo fatto a Berlusconi. In più, ad Air France non interessa l'hub di Roma per i voli intercontinentali, ma solo i passeggeri da convogliare sui propri voli da Parigi e Amsterdam: per i Benetton di AdR, un film dell'orrore.
Non vuole il debito di Alitalia: orrore per Intesa e le altre banche. E vuole tagliare il costo del personale: orrore per i sindacati, che applaudendo l'intervento delle Poste, continuano a non capire che tenere in piedi aziende decotte serve solo a sprecare soldi pubblici, rinviando gli inevitabili tagli di posti di lavoro e il rilancio dell'azienda.
L'intervento del Governo assomiglia dunque a un "bluff" contro Air France, ma per tutelare solo gli interessi di azionisti, banche, e sindacati. Che riesca o meno, il destino di Alitalia non cambia: il suo modello di business non ha futuro. Al massimo, Air France sborserà qualche euro in più.
Si poteva e si doveva agire diversamente. Primo: utilizzare le procedure fallimentari. I vecchi azionisti sarebbero spazzati via, assieme ai loro conflitti di interesse; e i crediti non essenziali a volare (biglietti, carburante) convertiti in capitale per azzerare il debito (verso le banche, AdR o per il leasing degli aeroplani ex AirOne).
Secondo: intervento esplicito dello Stato (non la farsa delle Poste) per garantire il funzionamento temporaneo dell'azienda, nazionalizzando la nuova Alitalia attraverso un prestito convertibile (come per Chrysler e GM). Terzo: lo Stato esce dal capitale subito dopo, con un'asta competitiva sull'azienda depurata del debito, o sugli slot (il suo vero valore), anche in blocchi, con gli aerei e il personale per servirli.
Che Alitalia sia un pezzo di un gruppo estero o perda la livrea, ai passeggeri, a chi ci lavora e ai contribuenti non importa. Ma questo non può succedere in un Paese dove, proprio nel giorno dell'ingresso delle Poste, l'architetto del disastro Alitalia, Corrado Passera, scende in politica «per una nuova Italia».
Giancarlo Schisano, Il direttore operativo di AlitaliaALITALIAAirFranceCorrado Passera Gianni e Maddalena Letta colaninno alitalia bassanini - amato Massimo Sarmi postino SCARONI E SERVILLOfratelli benettonGILBERTO BENETTON CON MAURIZIO SELLA FOTO BARILLARI AEROPORTO ROMA FIUMICINO
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