DAGOREPORT – CON L'OPERAZIONE GENERALI-NATIXIS, DONNET SFRUTTA UN'OCCASIONE D'ORO PER…
1 - TORNA IL PROTEZIONISMO: FONDI E BANCHE CENTRALI IN RITIRATA DALL'EUROPA...
Morya Longo per "Il Sole 24 Ore"
«Nel medio termine gli attuali movimenti globali della liquidità rischiano di mettere in pericolo i mercati dei capitali». à l'8 novembre scorso. Mark Carney, governatore della Banca centrale del Canada, parla alla Camera di commercio di Canada-Gran Bretagna. E, con poche parole, va dritto al punto: quello che sta distruggendo l'economia mondiale (ma la vera vittima è l'Europa) è il movimento erratico, quasi impazzito, del denaro in giro per il globo. Le cause sono note: la sfiducia, la crisi, l'eccesso di debito. Purtroppo anche gli effetti sono noti: l'area euro in crisi, un intero continente in ginocchio.
Come fiumi che improvvisamente si prosciugano, lasciando gli animali senza acqua, anche i flussi della liquidità internazionale stanno facendo lo stesso. Investitori e banche, ma anche banche centrali, stanno rimpatriando abbondanti dosi di denaro. Questo "protezionismo" della liquidità lascia economie di interi Paesi (soprattutto in Europa) improvvisamente senza "acqua": le banche si trovano a corto di finanziamenti, i Governi si trovano costretti a pagare tassi d'interesse sempre più elevati sui titoli di Stato, le imprese si trovano con i rubinetti del credito chiusi. Più che la legge dell'economia, questa è la legge della savana.
SE I FIUMI SI PROSCIUGANO
Di esempi se ne trovano a iosa. Quando i fondi monetari americani hanno deciso di disinvestire dalle banche europee, ritirando in meno di un anno la bellezza di 700 miliardi di euro (stima di JP Morgan), gli istituti di credito del Vecchio continente si sono trovati in un'improvvisa crisi di liquidità .
à stata questa una delle cause della bufera in Borsa che, la scorsa estate, ha colpito le banche francesi: dato che si sono trovate senza grande preavviso a corto di finanziamenti a breve termine in dollari, e dato che anche le altre fonti di approvvigionamento erano secche, la crisi si è fatta sentire violenta. E improvvisa. Solo quando è intervenuta la Banca centrale europea, aprendo uno sportello "bancomat" in dollari per gli istituti di credito del Vecchio continente, la situazione è un po' migliorata. Ma ormai il panico, in Borsa, era scattato. Per fermarlo era troppo tardi.
Anche i fondi comuni d'investimento, i fondi pensione e le banche americane e internazionali hanno ritirato abbondanti capitali dall'Europa: soprattutto disinvestendo dai titoli di Stato. Persino le banche centrali hanno ridotto, gradualmente, la loro esposizione sul Vecchio continente. Lo testimonia una ricerca recente di Barclays: se tra il 1999 e il 2008 le Banche centrali dei Paesi emergenti investivano mediamente il 29% delle nuove riserve in euro e il 59% in dollari, tra il 2009 e il 2010 l'investimento in euro è sceso al 22% e quello in dollari al 44%. Ma è nei primi sei mesi del 2011 che il flusso si è fatto più esiguo: in euro, da gennaio a giugno, è stato messo solo il 17% delle nuove riserve. Ed è probabile che nel terzo trimestre il dato sia ancora più basso.
EFFETTO SU BORSE E BOND
La conseguenza è ovvia: se i capitali escono dall'Europa, l'Europa soffre. Come quegli animali che trovano i fiumi secchi. Il primo impatto è sui mercati finanziari, che sono il luogo più facile da cui gli investitori esteri tolgono i soldi. Grecia e Portogallo, secondo una stima recente di Goldman Sachs, sono i Paesi da cui i capitali esteri sono maggiormente scappati: il deflusso netto degli investimenti internazionali diretti è stato pari a circa il 110% del Pil in Grecia e al 120% del Pil in Portogallo.
Morale: ad Atene sono crollati sia i titoli di Stato (i rendimenti decennali sono quindi saliti dal 12% di inizio anno al 25% attuale), sia la Borsa (da gennaio ha perso il 49%). A Lisbona la musica è stata più o meno la stessa: i rendimenti decennali sono saliti dal 6,58% di gennaio al 10,57% attuale (segno che i prezzi sono scesi in picchiata), mentre la Borsa ha bruciato il 21,6% del suo valore.
Per capire quanto i flussi internazionali incidano sui mercati finanziari, è utile guardare la Svizzera: nel Paese elvetico - stima Goldman Sachs - gli investimenti netti esteri diretti sono stati positivi per una cifra pari al 150% del Pil svizzero. E infatti i titoli di Stato locali sono stati acquistati (i rendimenti sono dunque scesi dall'1,61% di inizio anno allo 0,82% attuale).
Resta però in calo la Borsa, che da inizio anno perde il 12%. Il caso italiano è invece intermedio: i deflussi non sono stati abnormi (si stima una cifra pari al 20% del Pil), ma i titoli di Stato hanno registrato un aumento del rendimento di circa due punti percentuali da inizio anno. Ovvio che nei movimenti del mercato concorrano una molteplicità di cause. Ma il tema dei flussi di capitali è uno dei più importanti.
BOTTA ALL'ECONOMIA
Il colpo più duro, alla fine, lo paga l'economia reale: le imprese, le famiglie. Perché se le banche perdono accesso al credito, e se lo Stato è costretto a pagare tassi d'interesse sempre più onerosi, alla fine è su di loro che si scarica il problema: gli istituti di credito li finanziano sempre meno e lo Stato è costretto ad aumentare le tasse. Gli effetti sono già sotto gli occhi di tutti: l'economia rallenta e in molti Paesi sfiora la recessione, la disoccupazione aumenta, il credit crunch strozza le imprese. Le banche centrali iniettano tanta liquidità sul sistema, ma questa non circola più: chi può, la tiene in patria. Inizia così l'era del protezionismo del denaro. E come tutti i protezionismi, anche questo crea più danni che benefici.
2 - PRESTITI INTERBANCARI CONGELATI...
Dall'articolo di Maximilian Cellino per "Il Sole 24 Ore"
(...) Le banche che hanno denaro preferiscono spesso impiegarlo a tassi minimi pur di non cederlo a prestito. Così si spiegano per esempio i livelli record registrati dai fondi parcheggiati (231 miliardi ieri) presso la Bce a un tasso ben poco attraente (0,5%). Ma anche la corsa che le banche stesse fanno a quelle operazioni di sterilizzazione con cui Francoforte ritira il denaro utilizzato per acquistare i titoli di Stato dei Paesi in difficoltà offrendo in cambio depositi a una settimana: all'ultima di queste, nonostante il tasso di remunerazione fosse un magro 0,61%, si sono presentate in 100 mettendo sul piatto 260 miliardi, ben oltre i 187 che la Bce doveva ritirare.
Il problema è che di questo passo il mercato interbancario rischia di congelarsi del tutto come avvenne nelle settimane successive al crack-Lehman. Gli analisti utilizzano un indicatore particolare per misurare questo genere sudori freddi, un termometro che rileva la differenza fra il tasso Euribor a una data scadenza (in genere 3 mesi) e l'overnight indexed swap (Ois). Il primo calcola (o almeno dovrebbe farlo) il costo a cui avvengono gli scambi di denaro a termine fra banche senza la copertura di garanzie: se la controparte a cui ho prestato fondi nel frattempo fallisce perdo tutto.
L'altro si basa semplicemente su uno scambio di flussi in base ai tassi attesi: non c'è sottostante (cioè prestito di denaro) e i pericoli sono quindi di gran lunga inferiori. Questo scarto misura dunque il rischio di credito (o, se si vuole, il premio che le banche vogliono vedersi riconosciuto per prestare denaro) e in questi momenti viaggia a 90 punti base, ai massimi del dopo-Lehman (quando era addirittura balzato a quota 180).
Ma i problemi non sono soltanto confinati alla raccolta di euro, perché anche quando vanno a chiedere dollari che servono per le loro attività quotidiane le banche del Vecchio Continente deve pagare salato. Per la verità a New York sono ormai sempre più rari quelli che concedono prestiti oltre l'Atlantico e allora ci si deve affidare a uno stratagemma, cioè trasformare gli euro in dollari attraverso un contratto di «currency swap».
Il giochino però è molto costoso, perché chi presta valuta Usa chiede in cambio un «premio» sostanzioso per il disturbo: di solito il prezzo dell'operazione equivale alla differenza fra i tassi Libor in vigore nei due Paesi, che oggi sarebbe a favore di chi cede euro (1,41% contro 0,49%). Ma a questo valore oggi la banca che cerca dollari deve applicare uno sconto di quasi l'1,3% (130 punti base, anche questo ai massimi del dopo-Lehman) che dipende proprio dalla crisi finanziaria e che pesa come un macigno sugli istituti europei.
La disperata ricerca di fondi da parte di molte banche, e il rifiuto di concederli opposto da altre sono in fondo le due facce di una stessa medaglia. Il virus, oggi come tre anni fa, si chiama fiducia: Draghi e la Bce continuano a dispensare antibiotici garantendo denaro illimitato a tassi di favore, il mercato si augura che possano trovare quello efficace in tempi brevi.
ANGELA MERKEL wall streetMARIO DRAGHI grecia - PapademosMario Monti
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