FLASH! - IL DAZISTA TRUMP, PER SPACCARE L'UNIONE EUROPEA A COLPI DI TARIFFE SUI PRODOTTI ESPORTATI…
Luca Piana per "l'Espresso"
Che cosa hanno in comune Bill e Melinda Gates con l'istituto delle case popolari di Hong Kong? La risposta si trova nel verbale dell'ultima assemblea dell'Unicredit, quella dello scorso 29 aprile. Chiamati a convalidare l'ingresso nel consiglio del nuovo numero uno dell'istituto, Federico Ghizzoni, la fondazione benefica dei coniugi Gates (lui è il fondatore della Microsoft, per intenderci) e l'ente governativo della metropoli cinese hanno votato entrambi contro. I motivi non sono stati esplicitati.
C'è da ritenere che non avessero nulla di personale contro il banchiere piacentino, classe 1955. Probabilmente, a suo sfavore, ha giocato il fatto che il suo arrivo al vertice di Unicredit, in sostituzione di Alessandro Profumo, era stato percepito come il frutto di una manovra di palazzo dei soliti azionisti italiani. Quelli che badano più alle convenienze politiche che alle regole.
Passati cinque mesi, si potrebbe essere tentati di catalogare il voto negativo del Bill and Melinda Gates Foundation Trust e della Hong Kong Housing Authority - titolari insieme di appena lo 0,002 per cento di Unicredit - come un semplice incidente di percorso. Non è così. In queste settimane, il voto dello scorso aprile tiene in agitazione l'intero vertice della seconda banca italiana.
La prossima primavera, infatti, scadrà il consiglio di amministrazione, a cominciare dal presidente tedesco Dieter Rampl, intenzionato a cercare la conferma. E le fondazioni azioniste - le Casse di Risparmio di Torino e di Verona, Carimonte e Cassamarca- che finora hanno comandato su Unicredit, temono di non avere più il pallino in mano.
Lo dicono i numeri. Nel 2009, quando Rampl e Profumo hanno ottenuto l'incarico, i loro nomi erano inseriti in una lista di candidati presentata dalle fondazioni che rastrellò il 78 per cento dei voti presenti in assemblea, a fronte del 20 raccolto da una lista dichiaratamente di minoranza.
Lo scorso aprile, invece, quando in ballo c'era solo la conferma della cooptazione di Ghizzoni e nessuna alternativa, il dissenso si è fatto sentire. Assieme a Bill Gates, tantissimi investitori internazionali, americani, europei e asiatici, hanno votato comunque "no". I contrari sono stati uno su quattro dei presenti in assemblea, il 10 per cento dell'intero capitale. Una quota di poco inferiore al 13 per cento in mano alle fondazioni.
Se nel vortice della crisi finanziaria le fondazioni non riusciranno a convogliare i voti dei nuovi azionisti che stanno emergendo là dove i capitali sembrano non mancare, dal Golfo Persico alla Cina, l'idea di un ribaltone al vertice potrebbe dunque non essere una chimera.
Un segnale in questa direzione sembra arrivare sempre dall'assemblea dello scorso aprile. Quando contro la nomina del nuovo manager e la riduzione dei posti in consiglio per l'uscita di Salvatore Ligresti (non sostituito, come se la poltrona fosse sua) si sono espressi un po' tutti gli azionisti cinesi dei quali si è parlato in questi giorni e ai quali lo stesso Ghizzoni si è spinto a dare il benvenuto se volessero investire in Unicredit, ora che la banca ha bisogno di capitali: dalla Flourish Investment Corporation alla Best Investment Corporation, dalla Hong Kong Monetary Authority al National Council for Social Security.
Forse conscio della fragilità della sua posizione e dell'intero consiglio, nel primo anno al vertice di Unicredit Ghizzoni sembra aver adottato un atteggiamento del tipo: poche parole, molto lavoro. Gli analisti hanno accolto con favore i risultati del primo semestre 2011, chiuso con un aumento del 3,1 per cento del risultato di gestione e con un vero e proprio balzo dell'utile netto: +97 per cento, a 1,32 miliardi.
à comunque presto per valutare l'operato del manager su molti temi caldi, considerando che alcune operazioni effettuate derivano da guai del passato. à il caso del salvataggio della Roma, mentre sull'aiuto ai Ligresti c'è qualche dubbio, vista l'offerta che era arrivata dalla francese Groupama per affiancare il finanziere siciliano. Qualche perplessità si può nutrire anche sull'investimento (100 milioni) compiuto a dicembre in Sw Holding, la società della Lottomatica che si è aggiudicata la concessione del Gratta & Vinci.
Una scelta che in tempi di razionamento del credito non pare il massimo quanto a centralità nel sistema produttivo. Ma che non dev'essere dispiaciuta ai De Agostini, a Mediobanca e a Generali, grandi azionisti di Lottomatica, legati a Unicredit in un intreccio di partecipazioni incrociate.
Il principale punto interrogativo riguarda però il possibile aumento di capitale. Alessandro Roccati, analista di Macquarie Equities Research, lo scorso 31 agosto ha diffuso un'analisi nella quale stima in 6 miliardi il deficit di capitale di Unicredit, se dovessero prevalere le interpretazioni più stringenti sul patrimonio disponibile che le banche devono accumulare. Finora, però, Ghizzoni ha preso tempo, forse perché le fondazioni farebbero fatica a mettere mano al portafoglio e vedrebbero la loro quota scendere ancora.
Non mancano altri dubbi, visto che è difficile capire l'orientamento e le reali possibilità degli enti libici - la Central Bank e la Libyan Investment Authority - che detengono il 7 per cento (i loro diritti sono stati scongelati da poco). Restano i cinesi e gli emiri del Golfo, già presenti con il fondo Aabar di Abu Dhabi (ha il 4,9 per cento) e tante altre piccole quote. Soci che, a differenza delle fondazioni, hanno ingenti capitali. Ma che, come hanno dimostrato in aprile, sono pronti a votare contro le Fondazioni. E vanno convinti con prospettive di guadagno che, tra i rischi sui bond statali e bassa crescita, la banca non può promettere con certezza.
2 - PUGLISI: OCCHIO AI TEDESCHI
Luca Piana per "l'Espresso"
Il presidente tedesco Dieter Rampl? "Con la Germania che gioca una partita a tutto campo in Europa, oggi sarebbe bene confermarlo". L'aumento di capitale? "Se serve, le fondazioni non devono ostacolarlo". Tra i soci di Unicredit, Gianni Puglisi, 66 anni, rettore dell'Università Iulm di Milano, è uno che più di altri non si tira indietro quando si tratta di metterci la faccia. Dal 2005 presidente della Fondazione Banco di Sicilia, controlla lo 0,6 per cento del capitale, una quota diminuita di fusione in fusione ma che, finora, ha comunque permesso all'ente siciliano di indicare un consigliere di amministrazione.
Sulle tensioni che agitano il gruppo, Puglisi osserva che "bisogna partire da un fatto: nelle ultime assemblee, la partecipazione dei soci è sempre stata vicina al 40 per cento. à dunque chiaro che le fondazioni, che tutte insieme contano per circa il 13 per cento, devono esprimere una lista di candidati per il consiglio che trovi il consenso anche di altri soci. Non possiamo fare da soli: dobbiamo tener presente che il 75 per cento del capitale è in mani straniere".
La quota del 7 per cento in mani libiche sembra un bel problema, anche in vista del possibile aumento di capitale...
"Tutti stanno a guardare che cosa faranno i libici. Ma non è l'unica questione rilevante. C'è il fondo sovrano di Abu Dhabi, Aabar, che ha quasi il 5 per cento del capitale. Ci sono numerosi altri investitori dei Paesi del Golfo. Ci sono varie istituzioni cinesi, com'è emerso negli ultimi giorni. Bisogna chiedersi che cosa vogliono questi azionisti, che hanno acquisito spazio man mano che la crisi metteva in fuga investitori più tradizionali come i fondi americani: la mia risposta è che chiedono redditività , non potere. Se volessero semplicemente comandare, potrebbero tranquillamente comprarsi sia Unicredit che Intesa Sanpaolo".
Come possono essere convinti a sostenere i manager graditi alle fondazioni?
"L'unica soluzione passa dalla capacità del gruppo dirigente di dare risposte adeguate già prima della fine dell'anno, compatibilmente con la crisi internazionale. L'amministratore delegato Federico Ghizzoni ha mostrato di poter tenere la barra dritta, nonostante le condizioni difficili nelle quali ha ereditato la guida del gruppo".
Si dice che le fondazioni non vogliano l'aumento di capitale...
"Tranne forse le più grandi, Torino e Verona, credo che le altre abbiano tutte difficoltà oggettive. Ma se devo valutare i fatti da cittadino italiano, e non solo da presidente della Fondazione Banco di Sicilia, dico che se l'aumento è necessario va fatto. Non possiamo permetterci di mandare a picco una banca come Unicredit, che sta resistendo nel mezzo di una crisi mondiale pesantissima".
C'è il timore di scalate? A questi prezzi i tedeschi, padroni d'Europa, potrebbero farci un pensiero?
"Penso che su questo abbia ragione il ministro Giulio Tremonti: i tedeschi stanno giocando una partita a tutto campo, che non riguarda solo le regole dell'Unione europea. Per questo ritengo che Unicredit non possa fare a meno di un tedesco come Dieter Rampl alla guida".
Federico Ghizzoni UNICREDIT Dieter Rampl ALESSANDRO PROFUMO BILL GATES con moglieSalvatore Ligresti PUGLISIlottomatica
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