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Francesco De Dominicis per “Libero Quotidiano”
GIOVANNI ED ELENA BAZOLI CON I FIGLI FRANCESCA E STEFANO
La presenza di Emilio Gnutti nel «gruppo» potrebbe ingannare: non è il riscatto della vecchia «Razza padana», una classe (quasi) tutta di matrice finanziaria. Quella è una storia del passato, ormai archiviata. A Brescia, dove gli industriali che hanno annunciato la costituzione di un patto di sindacato che ha quasi il 12% di Ubibanca, si è mosso il cuore della nuova oligarchia. Gli imprenditori del vino, dell' acciaio, delle armi.
La trasformazione in spa di Ubi ha posto gli storici azionisti «popolari» di fronte a un bivio: non fare nulla, col rischio di perdere il controllo dell' istituto (nomine e non solo); oppure unire le forze e creare nocciolini duri nella base sociale. La holding Upifra della famiglia Beretta, titolare della omonima fabbrica di armi, è tra i primi soci del nuovo patto di sindacato; subito dopo, la fondazione Banca del Monte di Lombardia.
Tra le famiglie che partecipano al patto figurano i Folonari, i Minelli, i Rampinelli Rota, gli Strazzera, i Camadini, i Polotti, gli ex imprenditori siderurgici Lucchini. E poi c' è anche Giovanni Bazoli, che ad aprile lascerà la presidenza di Intesa, ma in Ubi vuole in qualche modo continuare a dire la sua; i Bazoli sono rappresentati nel patto da Francesca, figlia dell' avvocato-banchiere. E fanno parte dell' accordo pure enti religiosi come la Diocesi di Brescia (raccolta nel gruppo San Lorenzo), la Fondazione Giuseppe Tovini, la Congregazione delle Suore ancelle della Carità, l' Editrice cattolica La Scuola.
Nel patto figurano anche l' Istituto Atesino di Sviluppo e la Fondazione cassa di Risparmio di Rovereto. E ancora: Helene de Prittwitz, moglie del finanziere franco-polacco Romain Zaleski, e Cattolica Assicurazioni. L' 11,95% non è poco se si pensa che in altri grandi gruppi bancari del Paese, singoli azionisti (in particolare le Fondazioni bancarie), con quote attorno al 4-5%, sono potentissime e determinanti.
Nel caso di un «patto» la questione è un po' più complessa: si tratta di trovare di volta in volta la sintesi e a mettersi d' accordo, nella provincia bresciana, dovranno essere 173 soggetti, con caratteri, percorsi e interessi assai differenti. Brescia, dunque, nella «nuova» Ubibanca avrà un peso maggiore rispetto a Bergamo dove poche settimane fa era nato il primo «nocciolino».
Nella provincia orobica si sono messi insieme addirittura in mille: dentro, tra gli altri, Bombassei, Pesenti, Bosatelli e Percassi. La quota di possesso dei bergamaschi è nettamente inferiore (2,27%) sia rispetto ai bresciani sia rispetto a BlackRock (4.90%), mentre è identica alla Fondazione Cuneno (2,27%). Calcolatrice alla mano, l' operazione «bresciana» porta a oltre il 20% la quota del capitale della quarta banca italiana in mano a investitori stabili, di lungo periodo.
Una situazione che potrebbe trovare il gradimento dell' amministratore delegato, Victor Massiah, che è sempre riuscito a dialogare efficacemente con le varie anime dell' azionariato Ubi. Il primo banco di prova sarà il consolidamento del settore: Massiah per ora si tiene alla larga dal risiko, ma prima o poi dovrà fare la prima mossa sullo scacchiere.
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