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Paolo Manzo per "la Stampa"
"Il Brasile non è un paese per principianti». Lo diceva il grande compositore Tom Jobim sintetizzando in poche parole le grandi contraddizioni di questo gigante dell'America Latina. Una verità ancora attuale di cui il calcio è forse l'esempio più lampante. Concluse le Olimpiadi con la consegna del testimone al paese del Samba per l'agognato appuntamento del 2016, si pensa già alla prossima scadenza: i Mondiali di calcio del 2014.
E mentre ovunque è una corsa contro il tempo per la realizzazione delle infrastrutture necessarie all'evento, con polemiche annesse visti i ritardi già accumulati finora e rimproverati dalla Fifa, sconcerta lo status quo del calcio brasiliano e, soprattutto, lo scarso pubblico sugli spalti sempre più deserti. Se per esempio nella capitale dell'Amazzonia Manaus - che paradossalmente non ha neanche un club di serie D - si sta costruendo come un'autentica cattedrale nel deserto un gigantesco impianto sportivo, stupisce un fenomeno che sta dilagando a macchia d'olio, ovvero la fuga dagli stadi.
Se ne era accorto già qualche anno fa il grande Zico. «Gli stadi sono vuoti -diceva - si salvano solo i grandi club dotati di infrastrutture». Ma il fenomeno col tempo è andato precipitando. Qualche esempio? Il recente derby tra Palmeiras e Sao Paulo ha visto un pubblico di appena 8mila persone. Stesso, misero scenario a Rio de Janeiro dove a vedere Fluminense contro Botafogo anche questa una stracittadina erano solo in 12mila mentre per una partita della massima serie come Atletico Goianense-Portuguesa si sono presentati allo stadio 891 tifosi.
Le ragioni di questo fuggi fuggi generale sono molteplici,a partire dal costo dei biglietti, considerato troppo alto dalle torcidas verde-oro. Un posto in curva costa sui 30-40 reais, circa 12-15 euro, mentre per sedersi in tribuna si spende almeno 5 volte di più. Considerando che le partite da vedere al mese, per un tifoso che segua solo i match casalinghi del suo team, sono in media tre, a conti fatti va via un quinto dello stipendio base.
A tutto ciò si aggiunge l'enorme campagna acquisti dei diritti tv che fa sì che sia più comodo e meno costoso organizzarsi a casa o al bar con gli amici seguendo il tutto dal piccolo schermo. «La verità è che il gioco non è più quello di una volta e il livello tecnico è calato», spiega Mauricio Dias grande tifoso del Palmeiras, l'ex Palestra Italia fondata da nostri emigranti, prestigiosa ai tempi di Altafini che qui tutti ricordano come Mazzola, ma oggi in crisi. E poi c'è anche la paura di andare allo stadio. «La violenza è sempre in agguato - continua Mauricio - e quello che dovrebbe essere solo un divertimento si trasforma in un incubo».
Davvero un paese non per principianti il Brasile. Perché mentre gli stadi si svuotano e i tifosi appaiono sempre più sfiduciati, mai come adesso i grandi club brasiliani riescono a trattenere i loro calciatori. Secondo i dati Fifa, nei primi 6 mesi del 2012, grazie al boom economico, il Brasile ha sì esportato 230 calciatori ma ne ha importati dall'estero più del doppio, ben 478.
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