DAGOREPORT - CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL…
Marco Panara per "Affari & Finanza - la Repubblica"
MARIO GRECO AD ASSICURAZIONI GENERALI
«Dimenticatevi le Generali che avete in mente. Quello che avete e che avrete davanti è un’altra cosa». Che cosa, è un po’ più difficile da spiegare. I numeri per esempio, che in genere per le assicurazioni sono quasi tutto, sono diventati una semplice cornice. “Semplice” perché sono pochi, benché, come dice lo stesso Mario Greco, l’ammini-stratore delegato che li ha fissati, «ambiziosi »: costi bloccati di qui al 2018 entro 6,3 miliardi l’anno, roe (ritorno sul capitale) operativo superiore al 13 per cento.
Tra queste due asticelle, una in basso e una in alto, c’è l’obiettivo centrale che è di portare la creazione di cassa dagli 1,2 miliardi l’anno attuali a oltre 1,7 miliardi l’anno, per fare nei quattro anni un totale di 7 miliardi. Quanto necessario a distribuire nello stesso periodo almeno 5 miliardi di dividendi e fare 1,2 miliardi di investimenti. È una “cornice” perché fuori da questi limiti non si può andare, si può fare di più ma non di meno: «Procederemo con la stessa disciplina che ci ha consentito di raggiungere gli obiettivi del precedente piano industriale con un anno di anticipo ».
A Greco la parola “disciplina” piace molto, e avere dietro le spalle tre anni di rigorosa disciplina è per lui la base del credito che il gruppo oggi può vantare sui mercati. E’ dentro quella cornice che, secondo la visione di Greco, le Generali che ci troveremo davanti non saranno più quelle che abbiamo in mente. Con questo secondo piano industriale presentato la scorsa settimana infatti si cambia scenario e si entra, per il mondo delle assicurazioni, in una terra incognita.
«Abbiamo chiuso un pezzo di storia che era bene chiudere in fretta — dice Greco — dovevamo rimettere ordine nella governance, nell’organizzazione, nel patrimonio, nelle operazioni e lo abbiamo fatto». In tre anni la struttura manageriale di vertice è stata rivoluzionata con la creazione di nuove funzioni che prima non c’erano (chief marketing officer, chief operating officer, chief data officer e group strategy and business development), e con l’arrivo dall’esterno di 12 top manager su 21, di cui sei non italiani. E’ stata definita una organizzazione a matrice, per business e geografie, adeguando il vecchio corpaccione delle Generali a quello di una multinazionale del ventunesimo secolo.
E’ stata riorganizzata l’Italia, le sette compagnie del gruppo sono diventate tre, i prodotti da 270 sono diventati 80, le piattaforme da tre si sono ridotte ad una, con un effetto visibile sulla redditività. La ristrutturazione è stata replicata in Francia (ma lì gli effetti si devono ancora vedere) e, appena due settimane fa, avviata in Germania. Sono state fatte cessioni per 4 miliardi di euro e sono state acquisite quote di minoranza nelle controllate in Germania, nel-l’Est Europa e in Generali Asia, mettendo in sicurezza il capitale e definendo in maniera più razionale il perimetro del gruppo.
«Abbiamo il capitale che ci serve, in una misura tale da metterci al riparo da eventuali crisi di mercato, abbiamo una redditività più alta di tutti e faremo 1,2 miliardi di investimenti non per comprare cose strane ma per diventare migliori». Il nuovo ratio di partenza è il 186% raggiunto a fine 2014 applicando il nuovo modello interno elaborato sulla base dei principi di Solvency II: «Questa non è una gara e non c’è un livello ottimale — spiega Greco — c’è un livello al quale ci si può sentire sicuri, e noi siamo ampiamente sopra quel livello».
Nel rimettere a posto il capitale, tra vendite a acquisto di minoranze si è messo ordine anche nel perimetro del gruppo: «In questi tre anni abbiamo fatto i merchant banker, ora quella fase è finita, abbiamo tutto quello che ci serve e quindi non ci saranno né acquisizioni né nuove cessioni». Salvo le operazioni di portafoglio, dove nessuna partecipazione è strategica e tutte possono essere vendute secondo convenienza, comprese Rcs e Telecom.
In conclusione i compiti a casa sono stati completati — «Non ci dobbiamo più difendere, giustificare, spiegare» dice Greco — e il nuovo piano più che industriale è strategico. L’obiettivo vero non sono i numeri, che come abbiamo visto sono la cornice, i vincoli entro i quali ci si deve “disciplinatamente” muovere, ma un cambiamento di pelle. Che comincia dal percorso seguito per definirlo, passa per il linguaggio adottato per spiegarlo e arriva all’oggetto nuovo, le Generali diverse da quelle che avevamo in mente. Il percorso è originale.
Mario Greco, ex McKinsey, non ha voluto consulenti esterni. «Abbiamo selezionato una cinquantina di giovani con meno di 35 anni tutti interni, provenienti da tutto il mondo, li abbiamo divisi in gruppi, ciascuno coordinato da due senior manager e ci siamo messi al lavoro. Avevamo bisogno di una visione nuova e per elaborare una cosa di questo genere ci vuole quello che i giovani hanno: la mancanza di resistenza al cambiamento».
Domanda numero uno: cosa vogliamo essere? La risposta viene dai numeri: nove clienti su dieci sono individui e piccole e medie imprese; il grosso dell’attività è in Europa. «Non cambiamo il nostro dna — dice Greco — lo potenziamo, noi vogliamo essere la compagnia leader nel retail in Europa. Per questo dobbiamo imparare a ragionare come i grandi gruppi del retail, mettere i clienti al centro dell’attenzione, conoscerli a fondo, rafforzare il brand e dargli una identità che lo faccia percepire come “semplice” e “intelligente”. Le assicurazioni sono una cosa complicata, il primo che riesce a rendere le cose semplice vince. Noi vogliamo farlo».
Generali come Amazon o come Zara. «Le assicurazioni sono una industria come un’altra, che fornisce servizi, dobbiamo abituarci a pensarle così. Fino ad oggi non lo ha fatto nessuno, non lo hanno fatto le Generali e non lo hanno fatto i suoi competitor. Ci davamo dei target non delle strategie. Oggi abbiamo cambiato linguaggio per rispondere alla rivoluzione che sta trasformando i consumatori». Il 20 per cento degli assicurati ogni anno cambia compagnia, dalle indagini emerge che i fattori di insoddisfazione sono superiori a quelli di soddisfazione (non c’era bisogno di fare sofisticate indagini per scoprirlo) quindi bisogna cambiare.
«Useremo le tecnologie per capire i consumatori, per semplificare loro la vita, per comunicare con loro, per assisterli, per fornire loro non polizze ma soluzioni. Abbiamo in programma oltre un miliardo di investimenti per questo». Intanto Generali ha avviato una negoziazione esclusiva per l’acquisto della società inglese MyDrive, specializzata nell’analisi di big data nel settore assicurativo, per diventare una compagnia 2.0 ha bisogno non solo della tecnologia ma anche di capire cosa dalla tecnologia può tirare fuori.
«Il mondo del retail è sterminato, l’azienda che è leader possiede il cliente e deve essere capace di conservarlo, il prodotto e il servizio li puoi costruire tu oppure puoi fare delle partnership, l’importante è che il cliente abbia come interlocutore le Generali, che garantiscono la qualità del prodotto e che sono in grado di offrire una gamma più ampia». Tecnologia e big data, partnership, marketing, brand: le Generali 2.0, quelle che non immaginavamo, a sentire Greco sono queste. Che se la devono vedere con un mondo difficile, fatto di tassi bassissimi o negativi, inflazione impercettibile.
«Non possiamo cambiare il contesto e i nostri obiettivi di creazione di cassa e distribuzione dividendi non sono basati sulla previsione di contesti più favorevoli. Lavoreremo sui prodotti, passando da prodotti basati sui margini a prodotti basati sulle commissioni. E baseremo tutti i nostri parametri, a cominciare da quelli sulla remunerazione dei manager, sulla creazione di cassa». La creazione di valore è una conseguenza. Nei prossimi mesi l’azionariato del Gruppo cambierà ancora, Mediobanca ridurrà la sua quota intorno al 10 per cento, il nocciolo duro si sta facendo progressivamente meno duro.
Qualche azionista (Pellicioli per De Agostini e Caltagirone) ha parlato a favore delle azioni a voto plurimo, il presidente Gabriele Galateri ha detto che si faranno delle valutazioni. L’amministratore delegato non commenta e non commenta neanche sull’evoluzione dell’azionariato. «Il management si confronta con il consiglio di amministrazione il quale rappresenta gli azionisti e il nostro consiglio di amministrazione ha appoggiato le nostre iniziative e sostenuto i nostri sforzi. Alla fine l’unico modo di proteggere l’azienda è creare valore, lo abbiamo fatto nei passati tre anni e continueremo a farlo nei prossimi».
FRANCO BERNABE CESAR ALIERTA GABRIELE GALATERI DI GENOLA
Greco non vede peraltro drammatici assestamenti nel settore: «Ci saranno molto meno che negli altri business, per una ragione tecnica: nelle assicurazioni i costi fissi sono molto bassi, intorno al 10 per cento del fatturato, quindi quando consolidi non ci sono grandissimi risparmi da sinergie, come per esempio nel settore bancario o dell’automotive. Per questo l’assicurativo è relativamente più stabile degli altri settori».
I problemi nei prossimi anni verranno da altri fronti. Quello regolatorio è uno. Non tanto e non solo per Solvency II, quanto per il fatto che in Europa non c’è un regolatore centrale unico come è la Bce per le banche: «Con tanti regolatori il pericolo è l’aumento della complessità, che ci burocratizza, mentre noi dovremmo essere più semplici e flessibili. Da questo punto vista benissimo l’Unione del Mercato dei Capitali così come tutti i passaggi che portano avanti l’integrazione europea. Noi siamo un player europeo e per noi il maggior pericolo è la rinazionalizzazione dell’Europa».
E l’Italia? «Le Generali oggi sono l’esempio di un paese diverso da come veniva percepito, e ci sono sempre più aziende che fanno come noi. Quello che ci serve, a tutti, è avere dietro un sistema paese forte: il mio concorrente tedesco ha dietro un sistema paese forte, quello francese anche. Sono contento di vedere che anche noi cominciamo ad avere dietro un sistema paese».
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