TROPPI GALLI-ANI A CANTARE - BARBARA BERLUSCONI NON CI STA A FARE LA PARTE DELL’ULTIMA ARRIVATA E IN CDA NON PERDE UN’OCCASIONE PER STARE ZITTA - IL VICEPRESIDENTE GALLIANI (CON 25 ANNI DI MILAN ALLE SPALLE) VORREBBE FARLE NOTARE CHE DI CALCIO NON CAPISCE UNA MAZZA (A PARTE QUELLA DI PATO) MA NON PUÒ PERCHÉ È LA FIGLIA DEL CAPO - INTANTO IL POMPETTA POTREBBE APRIRE LE PORTE DI MILANELLO AGLI INVESTIMENTI DELL’AMICO PUTIN…

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1- GALLIANI IN FUORIGIOCO...
Gianfrancesco Turano per "l'Espresso"

"Quando mi diranno di farmi da parte, ringrazio e me ne vado". Il promemoria di Adriano, nel senso di Galliani, è stato confidato a uno stretto collaboratore e ha un corollario: finché sto qui, nel senso del Milan, comando io. Solo un ordine del Supremo può contrastare il potere rossonero del geometra di Monza. Al di sotto di Silvio Berlusconi nessuno ha voce in capitolo, nemmeno la fidanzata di Pato. Per bloccare la cessione dell'attaccante brasiliano al Psg degli sceicchi qatari, Barbara B. ha dovuto fare il giro largo.

Ossia, ha saltato la via gerarchica che la vede ultima arrivata nel consiglio di amministrazione del club e si è appellata a papà. Su Pato l'ha avuta vinta, per adesso. Ma quando ha tentato per le vie dirette e ha promesso un posto da dirigente alla bandiera milanista Paolo Maldini, Galliani ha deviato in corner piuttosto agevolmente. Paolino, ex capitano con 25 anni di gloria sportiva, ha pagato vecchie ruggini e la sua autonomia. Lo stesso è accaduto all'attuale direttore sportivo del Psg Leonardo, assunto a fine carriera come assistente di Galliani, poi mandato sulla panchina rossonera ad allenare e infine allontanato per avere osato criticare la proprietà.

Certo, con Barbara è un po' più complicato visto che la proprietà è lei. Il match fra la rampolla e Galliani è un classico del familismo imprenditoriale italiano. Da una parte, c'è il dirigente di lungo corso, uno della vecchia guardia fininvestiana con un'anzianità di servizio al Milan di 25 anni e 10 mesi, superiore persino a quella del proprietario, costretto a dimettersi dalla presidenza dopo l'inflessibile legge Frattini sul conflitto di interessi varata nel 2004 dal governo dello stesso Berlusconi. Nell'altra metà campo, c'è l'erede, fulminata dal fascino di San Siro ancor più che da un giovane centravanti brasiliano e determinata a rimpiazzare Rosella Sensi nel ruolo di first lady della serie A.

A 67 anni, con una storia di successi e trofei, Galliani è alle prese con gli ultimi impegni del calciomercato invernale. Resta da vedere se riuscirà a cedere Pato prima che Barbara ceda lui. Al momento il vicepresidente esecutivo e consigliere delegato è favorito dal pronostico. Ma se perdesse la partita, non sarebbe la prima. Negli equilibri del Biscione, Galliani ha sempre avuto un ruolo particolare. È uno della prima ora ma non ha fatto la Marcia su Milano 2, come Fedele Confalonieri e Marcello Dell'Utri. Dà del lei a Silvio. Ad eccezione di un momento in cui ha tentato di ottenere una laurea honoris causa dall'allora rettore di Urbino Carlo Bo, ha sopportato il marchio di geometra con cristiana rassegnazione in mezzo a laureati, master in business administration, bibliofili e cultori della Storia.

Eppure è stato un perno dello sviluppo su basi nazionali di TeleMilano-Canale 5, garantito dalle antenne della sua Elettronica industriale. Era quello il suo lavoro, non il calcio. Al Milan c'è finito quasi per caso, lui tifoso juventino, perché era vicepresidente del Monza del costruttore Valentino Giambelli. In quegli anni, peraltro, la presenza di Berlusconi nelle vicende della squadra era totalizzante e andava dalla campagna acquisti al modulo di gioco fino alla scelta del dessert. Tutti gli altri erano comprimari.

Dopo avere ceduto per intero l'Elettronica industriale a Mediaset nel gennaio 1996, poco prima della quotazione delle tv, per molti anni Galliani ha alternato le conferenze stampa a Milanello e gli impegni nel centro di broadcasting di Cologno Monzese. Oggi lo ricordano in pochi ma l'"antennista" è stato consigliere delegato di Mediaset fino al 1998, quando ha incassato un'estromissione dolorosa, completata nel 2002 con le dimissioni da consigliere di amministrazione della subholding quotata.

Mentre il Cavaliere era sempre più impegnato dalla politica, il vicepresidente è diventato sempre più esecutivo e sempre più delegato a controllare il calcio nazionale per conto di Silvio. Non a caso l'uscita da Mediaset nel 2002 coincide con l'elezione di Galliani a presidente della Lega calcio. Le dimissioni arrivano nel 2006, dopo il deferimento per lo scandalo di Calciopoli concluso con una condanna della giustizia sportiva a cinque mesi. Tutto sommato, poca cosa. E anche negli ultimi anni, il peso di Galliani in Lega è stato predominante.

Privarsi di lui sarebbe difficile e Berlusconi lo sa. Non solo dietro Adriano c'è il nulla, ma bisognerebbe sborsare una buonuscita consistente. Il tfr di Galliani è un segreto ben custodito, così come il suo stipendio. Né il Milan né la controllante Fininvest sono quotate. Dunque non sono obbligate a indicare con esattezza i compensi dei top manager. L'unica certezza è che il compenso totale ai consiglieri del club (13 in totale) è di 2 milioni di euro.

Se anche la maggior parte di questa cifra finisse in tasca a Galliani, significherebbe che il chief executive officer rossonero prende quanto un panchinaro. Poco probabile. Galliani è anche un tesserato e parte del suo compenso, specialmente i bonus variabili legati ai risultati sportivi, è confusa nel calderone da circa 200 milioni di euro annui dei costi per dipendenti. Dopo 26 anni la sua liquidazione è stimata in oltre 10 milioni. A questi andrebbe aggiunta una somma legata alla valorizzazione dell'impresa Milan.

Berlusconi ha comprato la società nel febbraio del 1986 sull'orlo del fallimento e a prezzo stracciato. Galliani è arrivato a marzo del 1986, portandosi dietro il direttore sportivo del Monza Ariedo Braida. Dopo un quarto di secolo, la rivista statunitense "Forbes" ha messo il Milan al sesto posto nella classifica mondiale dei club di calcio con una stima di 838 milioni di dollari (645 milioni di euro).

Riconoscere il contributo di Galliani nella creazione di questo patrimonio significherebbe dargli un premio paragonabile a quello incassato da Alessandro Profumo all'uscita di Unicredit, se non a quello ottenuto da Cesare Romiti dopo gli anni alla Fiat. Tanto varrebbe pagarlo con una quota del club. Ma chi lo dice a Barbara?

2 - PALLA AI RUSSI
da "l'Espresso"

Sulla presunta cessione di Mediaset, Silvio Berlusconi ha costruito una strategia. Negli anni, le trattative per vendere le tv sono servite a distogliere l'attenzione dal conflitto di interessi. Sulla vendita del Milan, invece, la controllante Fininvest ha sempre stroncato ogni diceria. Di certo, c'è una valutazione d'impresa, affidata nel 2009 al consigliere del club Francesco Barbaro. Ma in quella fase Marina premeva per bloccare l'emorragia finanziaria provocata dalla squadra. Da allora, il Cavaliere ha ripreso a spendere.

Quanto ai nuovi soci, le smentite ufficiali hanno stroncato ipotetici negoziati con i fondi libici al tempo del Colonnello e con gli emiri di Dubai in piena crisi dell'Emirato. Adesso tocca ai russi. Il nome che circola è quello di Gazprom. Il colosso dell'energia statalizzato dall'amico Vladimir Putin potrebbe rilevare il 30 per cento del Milan. O no? L'operazione è problematica soprattutto a causa dell'articolo 3, paragrafo 1, comma A del regolamento Uefa. La norma vieta compartecipazioni, anche di minoranza, tra club che giocano la Champions e l'Europa league, pena l'esclusione di uno dei due.

E Gazprom controlla lo Zenit San Pietroburgo, allenato da Luciano Spalletti e sostenuto dal pietroburghese Putin. È curioso che anche l'Inter di Massimo Moratti abbia (avrebbe?) un pourparler per cedere il 30 percento delle azioni in territorio russo. Si parla del tycoon daghestano Suleiman Kerimov, proprietario dell'Anzhi. Le milanesi sognano i rubli ma forse è solo un'illusione.

 

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