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TRUMP MINACCIA DAZI DEL 100% AI BRICS SE MINANO IL DOLLARO
donald trump e i dazi contro la cina
(ANSA) - Donald Trump mette in guardia su Truth i Paesi del Brics, tra cui Russia e Cina, dal creare una loro valuta o di sostenerne un'altra in alternativa al dollaro, minacciando altrimenti dazi del 100%.
"L'idea che i paesi Brics - scrive il presidente eletto - stiano cercando di allontanarsi dal dollaro mentre noi restiamo a guardare è finita. Chiediamo a questi paesi di impegnarsi a non creare una nuova valuta Brics né a sostenere un'altra valuta per sostituire il potente dollaro statunitense, altrimenti dovranno affrontare tariffe del 100% e dovranno aspettarsi di dire addio alle vendite nella meravigliosa economia statunitense". "Possono andare a cercare - prosegue - un altro 'fesso'! Non c'è possibilità che i Brics sostituiscano il dollaro statunitense nel commercio internazionale e qualsiasi paese che ci provi dovrebbe dire addio all'America".
TRUMP E L’ARMA DEI DAZI, MINACCIA GLOBALE O TATTICA NEI NEGOZIATI
Estratto dell’articolo di Luca Veronese e Marco Valsania per “il Sole 24 Ore”
[…] Il premier canadese Justin Trudeau è volato, a sorpresa venerdì notte, a Mar-a-Lago in Florida per incontrare Trump nello sforzo di neutralizzare la prima, aggressiva minaccia del presidente eletto: balzelli del 25% contro Ottawa già da gennaio, appena la nuova amministrazione avrà preso possesso della Casa Bianca.
Claudia Sheinbaum, la presidente del Messico, ha avuto a sua volta una telefonata «produttiva» con Trump per scongiurare dazi identici. Trump inoltre ha preannunciato tariffe aggiuntive del 10% contro la Cina, che assieme a Messico e Canada è il principale partner nell’interscambio.
Gli obiettivi dichiarati dal leader Usa mostrano la disinvoltura nel ricorrere ai dazi come fossero sanzioni, e prospettano una nuova era di protezionismo: i Paesi presi di mira sono accusati di non fare abbastanza contro il narcotraffico e l’immigrazione illegale in arrivo negli Usa.
Tra i ministri appena scelti dal presidente entrante potrebbero affiorare alcune divergenze. Il segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha definito i dazi una «escalation per la de-escalation». Molto più aggressivo però Jamieson Greer, indicato come rappresentante commerciale dopo esser stato al fianco di Robert Lighthizer, re delle tariffe della prima amministrazione Trump.
L’influenza della nuova destra populista e nazionalista trova una sponda nel vicepresidente JD Vance e nell’ascesa di figure come Oren Cass con il suo think tank American Compass.
[…] Trump ha il potere per procedere: può imporre dazi d’autorità dichiarando un’emergenza nazionale, in base a una legge del 1977; oppure ricorrendo alla Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962 sui pericoli per la sicurezza nazionale; o alla Sezione 301 del Trade Act del 1974 contro le pratiche scorrette di altri Paesi.
Potrebbe persino ripescare lo Smoot-Hawley Tariff Act del 1930, che aggravò la Grande Depressione, scagliandosi contro i Paesi sospettati di discriminare i prodotti americani.
Donald Trump Robert Lighthizer
Una corsa ai dazi innescata dalla Casa Bianca è quasi universalmente vista con preoccupazione dagli analisti, per la stessa economia statunitense. Gli studi sulla prima esperienza di Trump hanno mostrato effetti nulli o avversi su produzione e occupazione: dall’acciaio e dall’alluminio, con più posti eliminati nei settori collegati di quanti creati nella siderurgia; alle lavatrici, 1.800 nuovi impieghi al costo, per i consumatori, di oltre 800mila dollari l’uno.
E ora cosa potrebbe accadere? Le sole tariffe iniziali in gioco su Messico, Canada e Cina ammontano a quasi 300 miliardi all’anno stando a Goldman Sachs, contro gli 80 miliardi di dollari oggi rastrellati da tutti i dazi Usa in vigore. La Tax Foundation ha pronosticato una riduzione del Pil dello 0,4% e la sparizione di quasi 350mila posti di lavoro anche in assenza di ulteriori rappresaglie.
Trump oltretutto ha già ipotizzato ulteriori misure, con balzelli fino al 20% su tutte l’import e del 60% sul made in China. Per il Budget Lab di Yale quei dazi su Pechino sommati a un 10% sull’import globale ridurrebbero il Pil Usa tra lo 0,5 e l’1,4% e porterebbero la soglia tariffaria media a livelli da Seconda Guerra Mondiale. Il Peterson Institute aggiunge che dazi sull’import del 20% e sulla Cina al 60% costerebbero alla famiglia media americana oltre 2.600 dollari all’anno in rincari, il 4,1% del potere d’acquisto. La grande incognita è quale seguito Trump darà alle sue minacce.
«Tutto dipenderà da come userà le tariffe: se saranno una leva negoziale oppure avranno valore intrinseco», dice Sean Randolph, direttore del Bay Area Council Economic Institute di San Francisco. Mickey Levy, economista presso la Hoover Institution, vede «contraccolpi negativi dall’aumento dei dazi», anche se Trump potrebbe scegliere una strada meno traumatica di decreti dallo Studio Ovale: inserendo le misure sul commercio - aggiunge Levy - in una vasta legislazione al Congresso, con deregulation e sgravi fiscali, e la possibilità di qualche mediazione.
Scommette su esiti meno traumatici del temuto anche Lucio Miranda, che guida il gruppo di consulenza ad aziende italiane ExportUsa. «Non credo in dazi a pioggia. La Cina sarà nel mirino, ma altrove potrebbero rivelarsi più selettivi», azzarda, riconoscendo tuttavia il desiderio di Trump di dare «nuova forma» al commercio globale e il rischio che il neo presidente americano finisca per «scardinare» un’Europa poco coesa.
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