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Francesco Bonazzi per la Verità
Il potere difeso ostinatamente per tanti anni ha sempre un che di claustrofobico. C' è un racconto di Italo Calvino, intitolato Un re in ascolto, che lo spiega magnificamente. Parla di un monarca prigioniero della propria paura di essere rovesciato e che per questo tende costantemente l' orecchio per captare ogni minimo rumore sospetto. Il racconto è del 1982 e chissà se l' ha letto anche Gianni Zonin, che l' anno dopo fece il suo ingresso nel consiglio di amministrazione della Banca popolare di Vicenza per poi diventarne presidente dal 1997 al novembre del 2015. Un lungo regno travolto dalle ispezioni della Banca centrale europea, dagli avvisi di garanzia e da un crollo delle azioni della banca che ha lasciato sul lastrico 118.000 soci.
Nelle precedenti puntate di questa inchiesta abbiamo ricostruito come la Banca d' Italia e la magistratura di Vicenza sapessero ampiamente che cosa accadeva nella Popolare vicentina, ma si siano ben guardate dall' intervenire. Adesso è venuto il momento di raccontare un' altra storia, quella di Un doge in ascolto e dei guardiani della sua sacra cadrega.
L' acquisto più prestigioso della congrega risale al 2011 ed è quello di Andrea Monorchio come vicepresidente della Bpvi, alla modica cifra di 284.900 euro l' anno. Chissà quali importanti servigi agli azionisti avrà reso l' ex Ragioniere generale dello Stato, con le sue entrature al ministero dell' Economia, in Banca d' Italia e nel Palazzo romano.
Altro guardiano del doge è stato Gianandrea Falchi, assunto nel 2013 a Via Nazionale, dove era nella segreteria del governatore Mario Draghi, per occuparsi delle relazioni istituzionali. E prima di lui, sempre dai «controllori» di Bankitalia, era stata la volta di Luigi Amore, ex ispettore ingaggiatore come capo dell' Audit interno. E di Mario Sommella, altro ex Banca d' Italia, arruolato nel 2008 per la segreteria generale.
Direttamente dalla Guardia di finanza, invece, nel 2006 arrivò Giuseppe Ferrante, che guidava il Nucleo di polizia tributaria di Vicenza ai tempi della prima inchiesta su Zonin, quella che fu archiviata dal procuratore capo Antonio Fojadelli (era il 2003). Anche Fojadelli, naturalmente, è finito alla corte del doge e, una volta raggiunta l' età della pensione, nel 2014 è andato a fare il presidente di Nordest sgr, la società di fondi d' investimento della Vicentina.
antonio patuelli premia gianni zonin
Uno dei suoi successori alla guida della Procura, Paolo Pecori, invece è rimasto con la toga ben salda sulle spalle. E allora il doge in ascolto gli ha «arruolato» il figlio Massimo, stimato avvocato vicentino che fa recupero crediti per la banca.
Poi c' è il capitolo riguardante Manuela Romei Pasetti, la quale, dopo aver fatto il presidente della Corte d' appello di Venezia, competente sul tribunale di Vicenza e protagonista di un' incredibile serie di lungaggini sulla prima inchiesta Bpvi, nel 2012 è finita a fare il consigliere indipendente di Banca nuova, la controllata siciliana della Popolare berica.
E a proposito della «colonia» siciliana, come non dimenticare la grande amicizia vantata da Zonin con Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, ex governatori della Regione, e gli stretti rapporti di Banca nuova con alcune toghe locali? La faccenda saltò fuori nel 2012, quando un' inchiesta per usura a carico dei vertici dell' istituto captò le telefonate amichevoli dell' ex procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, con l' allora direttore generale di Banca nuova, Francesco Maiolini (poi condannato in primo grado a 8 mesi con 3.
Nella seconda puntata di questa inchiesta, uscita martedì scorso, La Verità ha raccontato di come, nel 2014, la Banca popolare di Vicenza si fosse accollata una spesa di 9,5 milioni di euro per acquistare Palazzo Repeta, ex sede vicentina della Banca d' Italia, invenduta da cinque anni. Un prezzo addirittura superiore di 200.000 euro alla base d' asta: per un immobile che nessuno voleva, e sottoposto a vincoli artistici, non è poca cosa. Un grosso favore reso dal banchiere all' istituzione che avrebbe dovuto vigilare sui suoi conti.
Ma quella non è stata l' unica volta che il mattone ha rappresentato un buon investimento, quanto meno dal punto di vista relazionale, per Gianni Zonin e soci. Fino al 2012, infatti, la Procura della Repubblica di Vicenza era in affitto a Palazzo Val marana Salvi, sempre di proprietà della Bpvi. Un particolare che dipinge bene la lunga stagione di familiarità fra Vicenza e Roma.
Allora ecco la solida amicizia e gli incroci azionari con l' editore (e viticoltore) Paolo Panerai e il suo gruppo Class quotato in Borsa (Milano e Finanza, Italia Oggi, Capital, Class più una galassia comprendente periodici, tv, radio, portali internet), nel segno di una continuità quasi geronziana, visto che a un certo punto Zonin ha probabilmente pensato di aver preso il posto del Divo Cesare di Capitalia. E poi ecco la (piccola) accortezza di cooptare nei consigli della Bpvi e di Banca nuova personaggi come Roberto Zuccato e Giuseppe Zigliotto (entrambi indagati con Zonin) e Luciano Vescovi, ovvero tre leader degli industriali locali che hanno garantito negli anni rapportifluidi con Il Giornale di Vicenza.
Se questa è stata la ragnatela tessuta con pazienza e laute prebende dal cavaliere del lavoro Zonin, va detto che non sono stati denari spesi male. Almeno fin quando non sono piombati a Vicenza gli ispettori della Banca centrale europea, mandati da Draghi, che in poche settimane hanno tirato fuori tutto il marcio nei conti dell' istituto berico.
Un' altra storia, forse meno scandalosa di quella che ha come protagonista il giudice Cecilia Carreri, ma non meno in dicativa dell' ordine costituito che vige (o vigeva) in città, è quella che è toccata a una denuncia dell' Adusbef di Elio Lannutti, l' incubo dei banchieri di mezza Italia. Siamo a marzo del 2008, quando la prima inchiesta per truffa e falso in bilancio è ormai a un passo dalla sua definitiva archiviazione, e l' associazione dei consumatori spedisce al procuratore capo Ivano Nelson Salvarani un esposto che segnala vari possibili reati. Il punto nodale è sempre il solito: le azioni della banca sarebbero clamorosamente sopravvalutate e nel mirino c' è una delibera del Cda che aumenta il valore del titolo a quota 58 euro, in previsione dell' assemblea dei soci del successivo 19 aprile 2008.
Adusbef ha talmente fiducia nella Procura che decide di non dare notizia della denuncia e di aspettare gli sviluppi. Il 2 gennaio 2009 arriva la prima notizia: l' Ansa scrive che il pm Angela Barbaglio ha chiesto la prosecuzione del termine per le indagini. Ma il 23 aprile, la doccia gelata: si scopre dalle agenzie di stampa che il Gip ha archiviato tutto quanto, senza nemmeno avvertire Adusbef, come era stato richiesto nella denuncia e come prevederebbe il codice di procedura penale.
Che cosa era successo? Occhio alle date perché l' improvviso rush della Procura ha del miracoloso. Il 15 aprile 2009 il pm Barbaglio chiede l' archiviazione all' insaputa di Adusbef. Il21aprile il gip Eloisa Pesenti emette prontamente il decreto di archiviazione. Il 23 aprile la Popolare diffonde un comunicato in cui festeggia l' archiviazione. Il 24 aprile tutti i giornali danno risalto alla lieta novella. Il 25 aprile si tiene l' assemblea dei soci, al termine della quale il solito Zonin raccoglie a mani basse un nuovo mandato come presidente.
Poi, certo, la Corte di cassazione nel 2010 annullerà quell' ordinanza del tribunale di Vicenza, contestando al Pm proprio l' esclusione della qualità di parte offesa all' Adusbef prima dell' udienza del Gip, senza il contradditorio delle parti. Ma intanto, ancora una volta, il re in ascolto aveva salvato il trono.
(4. Continua)
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