NAGEL-PERISSIROTTO, LA GUERRA È INIZIATA - DOPO IL DURISSIMO ATTACCO DI DEL VECCHIO, L’ULTIMO ANNO DELL’AD GENERALI SARÀ INFUOCATO. PUR SENZA VERI DISASTRI NEL MONDO ASSICURATIVO, IL TITOLO È CROLLATO DEL 70% NEGLI ULTIMI 5 ANNI, E LA SUA RIMOZIONE NEL 2013 è ASSICURATA - MA L’AD VENDERÀ CARA LA PELLE: DOPO LE BATTAGLIE CON ALGEBRIS, CALTARICCONE E GERONZI, ORA LA LOTTA È CON MEDIOBANCA, SOPRATTUTTO CON IL MOSTRUOSO CONFLITTO DI INTERESSE DELL’OPERAZIONE LIGRESTI-UNIPOL…

Paola Pilati per "l'Espresso"

Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto: chissà se la regola dei cowboy vale anche per la disfida tra Giovanni Perissinotto e Alberto Nagel, il primo amministratore delegato delle Assicurazioni Generali, il secondo di Mediobanca e quindi suo azionista di riferimento. In attesa di capire chi abbia il fucile e chi la pistola, nei rispettivi quartier generali si danno da fare per smussare: "Ma quale disfida!", è il ritornello.

La maretta però c'è. Anzi, nelle ultime settimane si è andati molto vicini, dicono i ben informati, a un cambio repentino del vertice del leone triestino. Poi, invece, si è preferito lasciare Mario Greco, eterno candidato alla successione, a scaldarsi i muscoli nella sua Zurich, e tenere di riserva un altro nome, quello di Raffaele Agrusti, l'attuale direttore finanziario.

Ma il tempo che rimane a Perissinotto alla fine del suo mandato, nel 2013, non sarà certo rose e fiori. Come ha dimostrato la pubblica critica del suo operato fatta da uno degli azionisti di rango, Leonardo Del Vecchio, che quando ha visto bruciati in cinque anni a Trieste 400 milioni del suo investimento (ha il 3 per cento), ha convocato il "Corriere della Sera" e si è tolto dallo stomaco tutti i rospi accumulati da quando, dopo aver sconsigliato un investimento Generali nella Défense parigina perché strapagato, non gli avevano dato retta.

Certo, a guardare l'andamento del titolo Generali, che in dieci anni ha perso il 59,7 per cento e addirittura il 69,5 negli ultimi cinque, il malumore del padrone di Luxottica deve essere condiviso dalla gran parte degli altri azionisti, da Francesco Gaetano Caltagirone (ha il 2,27 per cento) a De Agostini (con il 2,43), figurarsi Mediobanca che ha oltre il 13. Non che i competitor abbiano fatto molto meglio in Borsa: Allianz ha perso il 65,5 in dieci anni e Axa il 54, oltretutto dopo aver chiesto ripetuti aumenti di capitale, che agli azionisti di Trieste sono stati risparmiati (vedi grafico nella pagina a fianco).

Ma in questo momento niente basta a consolare chi ha puntato sulla società più blasonata del listino, con una cassa da invidiare, il rating che supera quello della Repubblica italiana, e che oltre a bruciare il proprio capitale, nell'ultimo bilancio si è visto anche dimezzare il dividendo.

Ma se l'era Perissinotto sembra volgere al termine, l'uomo certamente venderà cara la pelle. Che ha dimostrato di avere assai dura, a dispetto del profilo da "uomo tranquillo" che gli è stato cucito addosso. Solido ed equilibrato, lo descrive chi lo conosce, ma anche schivo e quasi timido. Cinquantanove anni, sposato due volte, tre figli, casa in collina e niente barca, sobrio nel look e con una capigliatura che tutti i barbieri di Trieste sognano di domare, è quasi anomalo nel panorama dei manager del suo livello: rapporti con la politica ridotti al necessario, trasferte a Roma vissute come un marziano.

Famiglia triestina, è nelle Generali praticamente dalla culla, essendo suo padre, agronomo, colui che ha sviluppato la società agricola del Leone di cui è ancora, ultraottantenne, presidente. Il cursus honorum verso la poltrona di vertice inizia dopo la laurea, assunto e spedito subito a Londra, Bruxelles, New York. Non uno che vende polizze, dunque, ma uno che parte col cucchiaio d'argento in bocca. E infatti il ritorno a Trieste lo proietta verso la direzione generale, e poi il ruolo di amministratore delegato, nel 2001, gemellato con Sergio Balbinot secondo la rituale ripartizione di compiti di casa Generali: quest'ultimo ministro degli Esteri, lui guida strategica. Fino a diventare, un anno e mezzo fa, il ceo unico. E cominciando subito a prenderle.

Se le bordate del Fondo Algebris - che pretendeva più utili - gli hanno fatto il solletico (agli scalpitanti finanzieri ha risposto flemmatico che quello assicurativo non è un business per "teste calde"), più bruciante è stata la campagna contro di lui del finanziere bretone Vincent Bolloré, che dalla poltrona di vicepresidente ha criticato la campagna acquisti di Perissinotto nell'Europa dell'Est e la joint-venture praghese con Ppf, arrivando a minacciare, scandalo mai visto in quelle severe stanze, di non votare il bilancio 2010 (alla fine si è astenuto).

Ma la madre di tutte le battaglie è stata quella con Cesare Geronzi, giunto all'agognata poltrona di presidente dopo il francese Bernheim. Nello contro epocale di ripartizione del potere, è stato il "banchiere di sistema" a perdere, e a vincere Perissinotto, laureandosi come il campione della Macondo triestina contro qualsiasi intrusione (salvo poi affidare al bolognese Segafredo la gestione dello storico caffè degli Specchi, alla faccia di Illy).

Ora il fronte più critico - e la partita campale - è quello con Mediobanca. Tra Perissinotto e Nagel c'è una conoscenza, quasi un'amicizia, dai tempi in cui comandava Vincenzo Maranghi. Poi, c'è il peso di quel pacchetto del 13 per cento. Di fatto, gli inviti di piazzetta Cuccia all'indirizzo del Leone sono sempre stati accolti. Senza fiatare. L'acquisto del pacchetto di Telco, per esempio, costato una pesante svalutazione in bilancio.

E, ultimamente, l'acquisto della quota di Salvatore Ligresti in Citylife, il nuovo polo direzionale milanese. Proprio il salvataggio della compagnia assicurativa dei Ligresti, Fondiaria-Sai, voluta da Nagel, e dunque il rafforzamento di un concorrente grazie alla fusione con Unipol, ha reso palese un conflitto latente: l'abbraccio con Mediobanca, per Generali, è diventato asfissiante. E forse anche viceversa.

Nel futuro, infatti, ci sono delle scadenze pressanti che introducono incognite nello scenario, e aprono opportunità. Dal 2014 Mediobanca dovrà alleggerire il pacchetto Generali, passando dal 13 al 10 per cento, per onorare gli impegni imposti dall'Europa al sistema bancario con Basilea. Chi approfitterà della ritirata? Dal fronte Generali sanno che nel 2014 dovranno far fronte all'impegno con il finanziere cèco Petr Kellner di rilevare la sua quota nella joint-venture Generali-Ppf.

Un contratto che ha procurato mal di pancia nella governance della compagnia, fino a spingere Caltagirone a chiedere la creazione di un "comitato investimenti". Oggi la crescita vivace di quei mercati ha spianato i dissidi, cosicché su questo fronte Perissinotto è stato quasi perdonato. Comunque: per liquidare Kellner serviranno almeno 2,5 miliardi. Se fosse necessario un aumento di capitale chi, tra gli azionisti attuali, sarebbe in grado di far fronte?

"Non c'è bisogno di alcun aumento di capitale", garantiscono a Trieste: i 2,5 miliardi non sono un problema, e faranno soffrire poco il solvency ratio della compagnia (al 127 dal 133 attuale). E poi ci sono sempre numerosi asset "non core" da vendere. Perissinotto ha iniziato liberandosi della compagnia in Israele (troppo rischiosa quell'area), e potrebbe, in caso estremo, considerare la vendita della Banca della Svizzera Italiana, il cui valore, sui 2,5 miliardi, produrrebbe una plusvalenza di un miliardo tondo.

Ma a pensarci bene quel 2014 sia per lui che per Nagel potrebbe essere troppo in là. A gestire quella doppia transizione potrebbero non essere più loro. Oppure potrebbero essere ancora lì, ma in una nuova formazione. Nagel, si sussurra, potrebbe puntare a Generali. Come anche Perissinotto potrebbe ambire alla presidenza, dopo tanti anni di onorato servizio. Solo a quel punto, la legge del cowboy sarebbe davvero smentita.

 

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