DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Marco Sabella per il "Corriere della Sera"
Un settore che realizza un fatturato aggregato di circa 18 miliardi di euro l' anno e che alimenta, da solo, circa un terzo del totale delle esportazioni della filiera agro-alimentare italiana. Sono questi i dati -chiave del comparto «Wine&Spirits» italiano, che nel 2020, l' anno della pandemia, ha registrato un calo del giro d' affari del 4,1% (ma all' estero le vendite hanno tenuto meglio con una contrazione limitata all' 1,9%) mentre nel 2021 è in pista per un recupero previsto del 3,5%.
Quella della produzione vinicola è una eccellenza del made in Italy che va al di là del peso economico del settore stesso, perché coinvolge sentimenti, vissuti, modi di vita, cultura intesa in senso lato, tutti elementi «soft» che contribuiscono a delineare l' identità di uno "stile italiano".
Quest' anno la ricerca sul comparto è stata condotta da tre centri di eccellenza: l' Area Studi Mediobanca, l' Ufficio Studi di Sace e la società di analisi Ipsos. «La nostra ricerca ha coinvolto 240 imprese produttrici di vino e 70 di "spirits" con una copertura dell' universo produttivo che va dall' 80% delle aziende vinicole all''85% delle bevande superalcoliche», spiega Gabriele Barbaresco, direttore dell' Area Studi di Mediobanca.
Lo studio evidenzia nuove importanti tendenze sui prodotti, sui canali di distribuzione e sui mercati di sbocco. Sul versante dei prodotti, per esempio, i vini frizzanti hanno perso più terreno (-6,7%) dei vini fermi (-3,5%) mentre la tendenza più dirompente nella distribuzione è il boom delle vendite online (+74,9%) durante la pandemia. Nel 2020 gli investimenti nel digital dei maggiori produttori di vino sono aumentati del 55,8%, a fronte di un calo del 14,3% degli investimenti complessivi.
Dal punto di vista delle fasce di mercato «si assiste a una forte polarizzazione degli stili di consumo con un tendenziale aumento o stabilità dei consumi di fascia alta e di fascia bassa, a scapito dei prodotti di qualità intermedia», spiega Enzo Risso direttore scientifico di Ipsos. Quanto alle tendenze sui mercati esteri (il settore "wine&spirits" rappresenta il 30% dell' export della filiera agro-alimentare italiana) «il rapporto maggiormente emancipato con il rito del bere è appannaggio dei Paesi di matrice anglofona (Australia, Gran Bretagna e Usa), con sporadiche incursioni di alcuni Paesi dell' Est e del Nord del mondo (Canada e Svezia)», nota il chief Economist di Sace Alessandro Terzulli.
Da qui la previsione per il biennio 21-22 di un aumento dei consumi di vino del 3,8% l' anno per molti mercati. Per i due grandi importatori di vino italiano la crescita media annua è del 2% per gli Usa e del 3,1% per la Germania. Opportunità possono arrivare da Canada e Giappone, che segnano un consumo atteso in crescita del 5,9% annuo. Ma è la Cina a mostrare uno dei maggiori potenziali con un +6,3%. Una curiosità: il Vietnam annovera una rilevante crescita dei consumi (+9,6%), anche grazie agli accordi commerciali con l' Ue che proteggono le indicazioni geografiche e riducono i dazi.
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