UN PRATO VERDE DI DENARO: LA MAFIA CINESE HA LA SUA CAPITALE, DOVE HA RICICLATO 4,5 MILIARDI DI EURO

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Michele Bocci per "la Repubblica"

Una cifra più alta dell'Imu sulla prima casa uscita illegalmente dall'Italia nel giro di 5 anni. Un flusso enorme di denaro, partito in larga parte da imprenditori di Prato e spostato in Cina attraverso i "money transfer" tra il 2006 e il 2010. Vale 4,5 miliardi il maxi riciclaggio scoperto dalla guardia di Finanza e dalla procura di Firenze, che ha chiuso le indagini preliminari su un sistema economico illegale radicato in Toscana ma anche in alcune grandi città come Roma, Milano e Napoli. A spostare i soldi erano soprattutto immigrati cinesi ma non solo, del sistema facevano parte anche italiani.

I soldi erano guadagnati in Italia al nero grazie allo sfruttamento di manodopera sotto pagata e in certi casi clandestina, alla contraffazione di marchi, al contrabbando e all'evasione fiscale. Per ripulirli venivano mandati in Cina utilizzando un numero enorme di transazioni di basso valore, la maggior parte di appena 1.999 euro l'una, che permettevano di evitare i controlli, automatici dai 2mila euro in su.

Chi inviava realmente il denaro era occultato dietro prestanome alcune volte consapevoli, altre ignari o inesistenti. Il lavoro per le agenzie era immane. In cinque anni una che si trova in via Principe Umberto a Roma ha fatto qualcosa come 460.686 operazioni per un totale di un miliardo 245 milioni di euro trasferiti.

È stata Bankitalia a rendersi conto che qualcosa non andava. I controlli periodici sulle transazioni transfrontaliere hanno rivelato che nel 2009 e nei due anni precedenti solo da Prato sono partiti qualcosa come 430 milioni di euro all'anno per la Cina. Nel 2010 è stata resa pubblica la prima indagine della procura di Firenze e quell'anno i trasferimenti dalla città toscana sono scesi a 170 milioni. Non sono più tornati al livello dell'anno precedente. Segno che il flusso di denaro è stato interrotto o ha trovato altri canali.

L'avviso di conclusione indagini è la sintesi di tre inchieste della Guardia di Finanza. Gli indagati sono 287, quasi tutti imprenditori cinesi o loro prestanomi, ma anche alcuni italiani. Per 24 di loro l'accusa è di associazione mafiosa «finalizzata al riciclaggio di ingenti somme di denaro pari a euro 4.501.189.227,58, dall'anno 2006 all'anno 2010».

La procura è infatti convinta che la colossale attività di riciclaggio sia stata eseguita con modalità mafiose, e cioè con l'uso della forza intimidatrice, con conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà, in modo tale da acquisire il controllo di gran parte delle rimesse degli imprenditori cinesi operanti in Italia. Il tutto agevolando e rafforzando «almeno in parte», altri gruppi di criminalità cinese di stampo mafioso, come quelli che gestiscono i flussi degli immigrati clandestini tra Firenze e Prato.

Al centro dell'inchiesta c'è la società di intermediazione finanziaria Money2Money con sede a Bologna e subagenzie sparse in varie città italiane.

Nel 2010, quando gli investigatori illustrarono la prima indagine che fece scoprire i primi 2,7 miliardi trasferiti in Cina, l'allora procuratore nazionale antimafia e oggi presidente del Senato Pietro Grasso arrivò a Firenze e la definì «una maxioperazione senza precedenti contro la mafia cinese in Italia, sia nei metodi sia negli obiettivi.

 

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