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ALLA RICERCA DELL'ORO NERO - IL CROLLO DEL PREZZO NON HA FERMATO LO 'SHALE OIL' AMERICANO: I PICCOLI PRODUTTORI SE NE SBATTONO DEL TENTATIVO SAUDITA DI STROZZARLI, E IL PIANO SI RITORCE CONTRO GLI SCEICCHI

Luigi Grassia per “la Stampa

 

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È il petrolio americano da fonti alternative, o «shale oil», che ha fatto crollare il prezzo del barile (l' altro giorno a un minimo di 38,90 dollari, record negativo dal febbraio 2009). Però sta succedendo una cosa strana: secondo logica, la guerra dei prezzi scatenata dai sauditi avrebbe dovuto mandare fuori mercato i nuovi produttori Usa, dopodiché i produttori tradizionali avrebbero mangiato le loro quote, e il prezzo del grezzo sarebbe pian piano risalito.

 

Invece le cose vanno diversamente: in America mille torri di trivellazione sono andate a gambe all' aria, questo è vero, eppure la produzione di shale oil continua a crescere. Così il prezzo del barile non riparte, e l' Arabia Saudita che ha fatto partire la giostra è costretta a bruciare 2 miliardi di dollari a settimana dei suoi investimenti esteri per tappare i buchi del bilancio interno. Come mai un numero minore di produttori Usa produce sempre di più, indifferente al crollo delle quotazioni?

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Intanto ecco i numeri su cui ragionare. Un analista di Baker Huges, la società specializzata che registra il numero ufficiale delle torri di trivellazione, spiega che «a livello nazionale, dopo aver raggiunto un picco di 1609 un anno fa, ora le torri sono ridotte a 674» (sia pure in lieve risalita nelle ultime settimane). E un altro analista, della società di consulenza Ihs Energy, aggiunge che «in un trimestre i maggiori 66 operatori del settore hanno dovuto svalutare asset per 29 miliardi di dollari».

 

Fin qui il piano dei sauditi sembrerebbe funzionare. Ma sull' altro piatto della bilancia, la produzione di petrolio alternativo, negli Stati Uniti quest' anno sarà da record e supererà i 7 milioni di barili al giorno, contro 2 milioni di barili di greggio convenzionale.

 

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Perché? Lo spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia: «Un anno fa si credeva che un prezzo del barile al di sotto dei 60 o 70 dollari non avrebbe ripagato le spese di produzione del petrolio alternativo. E invece molti produttori hanno scoperto di poter tagliare i costi e aumentare la produttività in una maniera impensata. I robottini che estraggono lo shale oil adesso fanno un secondo passaggio e spesso anche un terzo.

 

bacini di shale oil in americabacini di shale oil in america

E l' agricoltore o l' allevatore di bestiame americano che ha scoperto di avere il petrolio sottoterra era ben felice di incassare 50 mila dollari di royalty al mese, ma è felice anche adesso che ne incassa solo 5 mila. Quindi continua a produrre, o produce anche più di prima, con margini minimi». È una logica che i sauditi non avrebbero mai concepito.

 

È questo che sballa i piani di chi voleva mandare fuori mercato lo shale oil. A comportarsi in maniera prevedibile, chiudendo mille torri di trivellazione alternative man mano che il barile si avvicinava a 40 dollari, sono state solo le grandi compagnie. Per esempio la Exxon Mobil anni fa ha provato a comprare il maggior produttore di petrolio non convenzionale degli Stati Uniti.

ali al naimi ministro saudita del petrolio ali al naimi ministro saudita del petrolio

 

Ma ne è stata delusissima e così ha sbaraccato gran parte del business. Alle grandi compagnie non interessava intascare royalty di 5 mila dollari al mese col barile a 40 dollari, ma non interessavano neanche le royalty di 50 mila. Noccioline. Invece i trivellatori del petrolio shale, in questa nuova corsa all' oro, sono l' equivalente di cercatori di pepite che non smettono finché riescono a trovare anche poche pagliuzze auree dall' acqua dei fiumi. Per quanto gli arabi abbattano il prezzo del barile, in America ci saranno sempre legioni di trivellatori folli che non si arrendono.

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