IL SACRIFICIO DI ABRAMO – BAZOLI AL CAPOLINEA: IN ATTESA CHE CON LA FINE DEL SISTEMA DUALE VENGA SOLLEVATO DALLA PRESIDENZA DI BANCA INTESA, ARRIVA LA RESA DEI CONTI NELLA “SUA” UBI, DOVE ABRAMO AVEVA PIAZZATO LA FIGLIA

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1-NON C'E' PACE PER BAZOLI, ORA INDAGATO NELL'INCHIESTA SU UBI BANCA
Carlotta Scozzari per Dagospia

E' proprio vero che non c'è mai pace: proprio adesso che il grande capo di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, era riuscito a fare rientrare i malumori tra gli azionisti sulla governance duale, che avrebbero fatto saltare la sua poltrona di presidente del consiglio di sorveglianza prima della sua scadenza naturale, ecco che arrivano nuove grane, e questa volta con implicazioni addirittura giudiziarie.

Da questa mattina, infatti, sono in corso perquisizioni della Guardia di finanza nella sede di Bergamo di Ubi Banca, la super popolare nata nella seconda metà degli anni Duemila sull'asse tra Brescia e Bergamo. Alla base dell'operazione, un'inchiesta che ipotizza il reato di ostacolo all'attività di vigilanza e che secondo le ultime indiscrezioni sarebbe riferita a presunte, gravi anomalie nella modalità di comunicazione riguardo alle indicazioni dei vertici di Ubi Banca.

Secondo l'accusa, due gruppi di azionisti della Popolare, ossia l'Associazione Amici di Ubi e l'Associazione Banca Lombarda e Piemontese, quest'ultima presieduta proprio da Bazoli, avrebbero messo in campo, senza che le autorità di vigilanza lo sapessero, un sistema di regole tale da predeterminare i vertici dell'istituto di credito. Insomma, una rete di "inciuci" all'italiana per stabilire chi comanda.

C'è poi un filone di inchiesta, parallelo, che coinvolge anche il presidente di Italcementi Giampiero Pesenti e che ipotizza reati di truffa e riciclaggio. Il faro della magistratura, in questo caso, si è concentrato su alcune gravi irregolarità nella compravendita di beni di lusso, tra i quali imbarcazioni e aeromobili.

Nell'esposto alle Procure di Milano e Bergamo risalente al 2012, ad esempio, l'Adusbef denunciava un'operazione legata all'acquisizione per 12 milioni di euro di una imbarcazione da parte di Ubi Leasing poi ceduta per appena 3 milioni a un componente del consiglio della stessa banca capogruppo con base a Bergamo.

Rissumendo, quindi, nell'ambito della doppia inchiesta sull'istituto di credito lombardo, Abramo Bazoli è indagato per ostacolo alle funzioni di vigilanza insieme al presidente del consiglio di gestione di Ubi Banca Franco Polotti, al presidente del consiglio di sorveglianza Andrea Moltrasio e al vicepresidente Mario Cera, e ai consiglieri Victor Massiah (amministratore delegato) e Italo Lucchini. Giampiero Pesenti è invece coinvolto nel filone di indagine che riguarda Ubi Leasing e i suoi ex dirigenti Giampiero Bertoli, Alessandro Maggi e Guido Cominotti.

Ma che c'entra Ubi Banca con Abramo Bazoli, che è invece a capo di Intesa? Semplice: il banchiere ha da sempre esercitato una certa influenza, in alcune fase forse addirittura determinante, sull'istituto di credito nato sull'asse tra Brescia (città da cui lui stesso proviene) e Bergamo.

Non a caso, Ubi, fino allo scorso dicembre, aveva in portafoglio una quota consistente di azioni della banca capitanata da Carlo Messina. Tale partecipazione, tuttavia, ha cominciato a ridursi dal 2012, per poi essere azzerata alla fine del 2013.

Il 2012, tra l'altro, è anche l'anno in cui, con l'ispezione di Bankitalia che culminerà con le sanzioni anticipate da Dagospia lo scorso gennaio, hanno cominciano ad affiorare i guai dalla controllata del leasing. Ma c'è di più: sempre nel 2012, in ottemperanza al divieto di doppi incarichi introdotto dal governo di Mario Monti, Bazoli era stato costretto a lasciare il consiglio di sorveglianza di Ubi, per rimanere alla guida di Intesa.

La figlia di Abramo, Francesca Bazoli, nel 2012, all'epoca dell'ispezione di Bankitalia, ricopriva il ruolo di vicepresidente di Ubi Leasing. Per quanto la donna non sembrasse fin da subito essere coinvolta nelle presunte operazioni irregolari ora nel mirino della magistratura, quel ruolo contribuì a far saltare la sua candidatura per il rinnovo del consiglio di gestione di Ubi Banca, risalente alla primavera del 2013.

2-IL LEASING DI UBI CHE FA INCAVOLARE BANKITALIA
Carlotta Scozzari per Dagospia (del 30 gennaio 2014)

A distanza di oltre un anno, la Banca d'Italia tira fuori il cartellino rosso per gli ex manager di Ubi Leasing. Si alza il velo sulle sanzioni che Palazzo Koch, al termine di una ispezione durata da giugno a ottobre del 2012, ha deciso per gli ex vertici della controllata di Ubi Banca, dopo avere riscontrato tutta una serie di carenze legate al processo di erogazione del credito anche nei confronti di personaggi balzati agli onori delle cronache mondane e giudiziarie come Lele Mora e Diego Anemone.

Le irregolarità vengono elencate nel provvedimento, firmato dal direttore generale di Bankitalia Fabio Panetta, che riporta le sanzioni: carenze nell'organizzazione, nei controlli interni e nella gestione del credito da parte di componenti ed ex componenti il consiglio di amministrazione; carenze nei controlli da parte dei componenti il collegio sindacale; e carenze nell'organizzazione, nei controlli interni e nella gestione del credito da parte dell'ex direttore generale.

Sono stati così sanzionati per 24mila euro a testa gli ex componenti del cda Bruno Degrandi, Gaudenzio Cattaneo, Maurizio Lazzaroni, Osvaldo Ranica, Giovanni Lupinacci, Mauro Bagini, Italo Locatelli, Mario Rosso e Costantino Vitali, mentre la multa per Antonio Bertoni e Gianpiero Bertoli si è limitata a 18mila euro a testa. Multa da 24mila euro a testa per i componenti del collegio sindacale: Antonio Minervini, Giorgio Berta e Mauro Della Frera. Sanzione più consistente, pari a 36mila euro, per l'ex dg di Ubi Leasing, Faustino Lechi di Bagnolo. In tutto, perciò, la Banca d'Italia ha deciso di battere cassa per 360mila euro.

Al termine dell'ispezione, l'Authority di via Nazionale aveva puntato il dito contro alcune operazioni come ad esempio una di leasing nautico con controparte Massimo Crespi, l'imprenditore degli yacht arrestato a luglio del 2012 per evasione e frode fiscale dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria. Nel mirino di Palazzo Koch erano poi finiti anche il rapporto con la Lm Management, la società dell'impresario dei vip Lele Mora che era stata finanziata per l'acquisto di un aereo Cessna a reazione a nove posti.

I dubbi di Bankitalia avevano riguardato anche l'attività antiriciclaggio. In quest'ambito, gli uomini di Palazzo Koch avevano fatto notare che Ubi Leasing aveva preso "sottogamba" l'importanza di notizie compromettenti su clienti come l'Impresa Anemone Costruzioni di Diego Anemone, il costruttore che, tanto per citare una delle vicende più eclatanti, ha in parte pagato la casa con vista Colosseo dell'ex ministro del governo Berlusconi, Claudio Scajola.

 

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