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DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Eugenio Occorsio per “la Repubblica”
Un quantitative easing che non si ferma a marzo 2017 ma prosegue per altri 3-6 mesi. Un ammontare da acquistare che sale da 60 a 70-80 miliardi al mese. Un raggio di titoli acquistabili che non si limita ai bond statali ma si amplia alle obbligazioni degli enti locali e delle società. Un tasso d’interesse sui fondi in deposito presso la Bce che scende ancora dal -0,3 al -0,4 e forse -0,5 per cento.
Ecco il pacchetto “rafforzato” che uscirà, secondo i più autorevoli centri studi europei e le banche d’affari, dalla riunione di giovedì della Bce. Pur nella consapevolezza che le misure monetarie da sole non bastano alla ripresa, come puntualizza la Bri ma come lui stesso non manca di ricordare, Draghi rilancia il suo progetto in favore della liquidità. Lo fa su un sentiero sempre più stretto, non senza una premessa realistica: ormai il traguardo del 2% di inflazione, come emerge dalle “minute” delle riunioni precedenti della Bce, è ritenuto irraggiungibile.
Il think- tank Brugel di Bruxelles definisce un vero shock quello di febbraio «quando per Eurostat l’inflazione è crollata dal +0,3 di gennaio a -0,2% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso». Così, prevede dal canto suo l’Ubs, «la Bce taglierà la sue previsioni d’inflazione per il 2016 dall’1 allo 0,3%, e per il 2017 dall’1,6 all’1,5. Nel frattempo abbasserà dall’1,7 all’1,5% la previsione di crescita del Pil nell’eurozona sia per il 2016 che per l’anno prossimo».
Persa la partita dell’inflazione (soprattutto per i prezzi del petrolio), non resta per la Bce che puntare sul rilancio del credito, l’altro aspetto della complessa “operazione qe”. E su questo il bazooka di Draghi aumenterà la potenza di fuoco. Non senza problemi, legati l’uno all’altro. Se si andrà avanti oltre la scadenza, ad esempio, c’è la certezza che i buoni del Tesoro dei Paesi non basteranno: la Bce non può comprare più del 33% di ogni emissione né più del 33% dello stock di titoli pubblici esistenti.
«L’unica è ricorrere ai titoli degli enti locali partendo da quelli a minor rischio - nota il Credit Suisse nel report del weekend - come si è cominciato a fare in minima misura negli ultimi mesi». Non basta neanche, e allora si ricorrerà alle obbligazioni delle aziende: «Le regole ci sono già, le ha messe online il 22 dicembre la Bce in una comunicazione poco notata», ricorda da Londra Brunello Rosa, capo economista dell’Rge, il pensatoio di Nouriel Roubini. «Si partirà dai gruppi a partecipazione pubblica: per l’Italia sono nell’elenco Cdp, Terna, Fs, Enel e Snam. Niente banche commerciali per evitare conflitti d’interessi».
Il capitolo più difficile è quello dei tassi. Gli economisti sono concordi: verrà tenuto fermo il valore di riferimento, il vecchio tasso di sconto, allo 0,05%, ma si agirà ancora sulla deposit facility, gli interessi sui fondi che le banche tengono in “custodia” presso la Bce anzichè destinarli all’economia reale. Già sono negativi ma si scenderà da -0,3% a -0,4 e forse ancora più giù. Draghi si rende conto dei problemi per le banche che la misura comporta, e allora, pur senza attuarla subito, annuncerà una procedura che è in fase sperimentale in Giappone e in Svezia (dove la Riksbank pratica tassi del -0,5).
Si chiama two- tiered, a due velocità, e consiste nell’applicare tassi così pesanti solo quando i fondi depositati presso la Bce superano un certo livello. Per gli altri sarà praticato un trattamento più favorevole. Infine gli Ltro, i finanziamenti straordinari e superconvenienti per le banche in cambio di vari titoli e garanzie, lanciati a metà 2014: non hanno avuto grande accoglienza, ma a fine marzo è prevista una nuova asta, e la Bce annuncerà condizioni ancora più favorevoli.
DRAGHI RENZI
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