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Luigi Grassia per "la Stampa"
Si sa che i britannici fanno tutto a modo loro: guidano a sinistra, mangiano a colazione le uova, il formaggio e i salumi che noi mangiamo a pranzo o a cena, e così via. Ma non si era mai sentito che i bilanci delle loro aziende dell'energia seguissero una logica opposta a quella continentale.
È nozione comune che quando il costo della luce e del gas sale, aumentano anche i margini economici delle compagnie di settore. In questo momento, con le bollette alle stelle, le aziende dell'energia dovrebbero fare affari d'oro. E invece nel Regno Unito stanno fallendo in massa.
Sarà l'ennesima e inspiegabile bizzarria britannica? O invece il sillogismo bollette care/compagnie ricche è sbagliato, e quindi dobbiamo aspettarci fallimenti a raffica anche in Europa, Italia compresa? Le recenti difficoltà del gruppo italiano Green Network Energy, che ha cessato le attività a Londra e ha problemi anche in Italia dove conta 300 mila clienti, sembrano suonare come un campanello d'allarme.
La cronaca economica dice che dall'agosto di quest' anno sono già 25 le società energetiche del Regno Unito che sono uscite dal mercato; 3,8 milioni di clienti hanno perso il fornitore, e il garante britannico dell'energia (Ofgem) è dovuto intervenire cercando per loro i servizi di nuovi operatori.
Per una delle compagnie il provvedimento è stato ancora più drastico: Bulb è stato messa in "amministrazione speciale" e ora viene gestita dal governo di Londra per continuare a fornire luce e gas a 1,7 milioni di clienti. Di fatto si tratta di una nazionalizzazione, anche se presentata come temporanea.
E allora, che cosa sta succedendo nel Regno Unito e perché capita solo lì? L'Italia può essere contagiata? Davide Tabarelli, presidente di Nomisma, spiega che «tutti questi operatori sono semplici rivenditori e in molti casi hanno preso impegni che adesso con l'impennata dei prezzi non sono in grado di mantenere.
Faccio un esempio: se una compagnia si impega a vendere a un milione di clienti, per due anni, l'elettricità a un prezzo fisso di 20 centesimi al KiloWatt/ora, e la compagnia lo compra a 15 ci guadagna; ma se poi il prezzo di fornitura triplica non ce la fa più. Magari per una parte dell'approvvigionamento la compagnia aveva stipulato, a sua volta, un contratto a prezzo fisso, ma la quota restante che deve comprare ogni giorno la manda fuori mercato».
Obiezione a Tabarelli: anche in Italia le offerte a lungo termine e a prezzo fisso sono molto comuni, come mai non c'è stato ancora il bagno di sangue del Regno Unito? Il presidente di Nomisma Energia risponde che «molti contratti scadranno il 31 dicembre. C'è da temere che dal 1° gennaio, quando scatteranno altri rincari pesantissimi della luce e del gas, molte compagnie andranno in sofferenza anche qui».
Massimo Florio, economista della Statale di Milano che ha studiato le privatizzazioni britanniche, è meno pessimista sull'Italia: «Da noi non c'è stata l'estrema finanziarizzazione che ha subìto il settore dell'energia nel Regno Unito. Lì le compagnie che comprano e vendono elettricità e metano sono diventate, essenzialmente, degli operatori finanziari, e propongono contratti che fanno scommesse azzardate. Per fortuna in Italia questo fenomeno è solo all'inizio».
Esprime una posizione intermedia Massimo Ricci, dell'Autorità per l'Energia (Arera): «Ci aspettiamo che qualcosa del genere accada anche in Italia. I fenomeni alla base sono gli stessi, ma c'è una cultura meno finanziarizzata rispetto ai britannici, e sul mercato del gas la modalità con cui aggiorniamo i prezzi di tutela induce gli operatori a comportarsi con più prudenza».
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