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Ugo Bertone per “Libero Quotidiano”
«Quando l’Europa starnutisce, la Svizzera prende il raffreddore». Dice così Peter Rosenstreich, esperto dei cambi di Bnk Swissquote di Gland, ridente cittadina del canton di Vaud sede centrale del Wwf,nonché residenza di Michael Schumacher.
«Non possiamo abbassare la guardia - ammonisce Thomas Jordan, il presidente della banca centrale di Berna - nelle ultime settimane sono molto cresciuti i rischi macroeconomici». Perché l’allarme? Ieri la Svizzera è entrata a sorpresa nel non invidiabile club dei Paesi a crescita zero: nel secondo trimestre il prodotto interno lordo è rimasto invariato rispetto ai primi tre mesi del 2014.
A sorpresa, perché le previsioni erano per una crescita dello 0,5%. È quasi scontato, a questo punto,che l’obiettivo di crescita previsto per quest’anno, il 2 per cento, dovrà essere abbassato. Insomma, anche i ricchi piangono. Perché la Svizzera resta senz’altro nel plotone dei Paesi più invidiabili (ed invidiati) del pianeta, con un tasso di disoccupazione attorno al4,3per cento.
Ma la crisi dell’eurozona comincia a farsi sentire nonostante la strenua difesa, al ribasso, del cambio del franco contro l’euro. Giusto tre anni fa, il 6 settembre del 2011, la banca centrale ha infatti fissato a 1,20 il livello del cambio sull’euro sotto il quale la moneta non può scendere.
Una politica che ha dato i suoi frutti (la bilancia commerciale elvetica verso l’eurozona è stata in attivo 9 trimestri su 11) ma ha comportato, soprattutto nel 2012, acquisti di enormi quantità di euro, un’ipoteca scomoda per il bilancio della banca centrale già reduce dal salasso delle perdite sull’oro di un anno fa (7,3 miliardi).
Ma l’economia svizzera, ha ammonito Jordan, non può consentirsi un rafforzamento del franco sull’euro, previsto in discesa sul dollaro. Perciò, spiega il banchiere centrale «il tasso minimo di cambio è essenziale per prevenire un ritorno dell’inflazione » che, per la verità, viaggia solo sullo 0,2 percento con una punta negativa per il settore casa (-0,7 per cento). Il risultato? Forse nuovi massicci acquisti di euro.
Oppure, come ipotizzano diversi banchieri, tassi negativi sui depositi così forti da spingere le banche a comprare titoli in euro (vedi i Bund tedeschi) anche a un rendimento da prefisso telefonico. Si respira un’aria nuova, e non buona, nella Confederazione. Cambia pelle il sistema bancario, sotto la pressione degli Usa, che hanno messo nel mirino quindici istituti per concorso in evasione fiscale, e della Francia (lunedì al tribunale di Parigi si discuterà il ricorso di Ubs contro la cauzione di 1,1miliardi per il riciclaggio).
Dal 2008, secondo un’analisi di Price Waterhouse, dagli istituti elvetici sono defluiti capitali per 350 miliardi, prelevati per lo più da investitori privati. Le ragioni? La crisi economica, le regole sempre più severe imposte delle normative, il rischio, soprattutto, di cadere nella rete delle inchieste anti-evasione rese possibili dagli accordi con gli Usa e, in prospettiva, con le autorità europee. Reggono le grandi banche, che stanno cambiando pelle e rafforzando le riserve.
Patiscono le altre:a Lugano, ad esempio, pesa il taglio di 140 dipendenti disposto dalla nuova proprietà della Bsi. E così dai servizi finanziari non è arrivato alcun contributo alla crescita. Si spiega anche così il malessere all’italiana, cioè la perdita della fiducia, che ha colpito i fortunati vicini del Nord: i consumi, in netta frenata, registrano una striminzita crescita dello 0,2%, complici le misure anti-immigrazione.
Va meglio l’export +07%, almeno in valore perché l’incremento riguarda soprattutto gioielli ed orologi (grazie ai clienti asiatici) ma il turismo, un tempo una voce forte del made in Suisse, avanza solo dello 0,6%. Per carità, niente più di un raffreddore. Ma la Svizzera ha scoperto di non essere impermeabile alla crisi.
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