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Koala per il “Fatto quotidiano”
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La storia sta per giungere al termine con la vecchia alternativa borbonica, Francia o Spagna basta che se magna. Parliamo del destino di Telecom Italia contesa tra la spagnola Telefónica e la francese Vivendi. Oggi l’azionista industriale della Telco, la società che controlla Telecom, è la spagnola Telefónica che ha offerto ai francesi di Vivendi di fare uno scambio, a loro la società francese di telefonia fissa in Brasile, la Gvt, e ai francesi la quota di Telefónica nella Telco e con essa il controllo di Telecom.
Il povero Patuano ha tentato di attivare l’unica contromossa possibile, quella di offrire ai francesi di governare insieme (si fa per dire) sia Telecom Italia sia l'unione brasiliana tra Tim Brasile (telefonia mobile) e Gvt (telefonia fissa). Stando così le cose, l’Italia tra poco sarà l’unica grande democrazia europea a essere priva di un’azienda telefonica nazionale se si esclude la Gran Bretagna che da almeno 25 anni si è data una nuova missione nazionale, quella di essere il centro della finanza internazionale e attraverso di essa influenza sia la British Telecom che la Vodafone.
LA STORIA della nostra Telecom è la storia di un doppio fallimento, quello di un capitalismo privato italiano senza capitali ma fortemente relazionato e quello della politica della Seconda Repubblica. Tra i primi spiccano gran parte dei protagonisti del famoso salotto buono che son passati dentro la governance di Telecom fallendo tutti tragicamente sul piano industriale. Tanto per non far nomi, Agnelli, Colaninno e Tronchetti Provera hanno fatto guasti inenarrabili e si sono dimostrati privi di quel respiro di interesse nazionale che fa di un imprenditore un uomo del suo paese.
Il fallimento maggiore, naturalmente, è stato quello della politica , centrosinistra e centrodestra insieme, che in meno di vent’anni hanno privato l’Italia di una delle più grandi aziende di telefonia fissa e mobile del mondo. Per far questo dovettero per prima cosa mandare a casa a metà degli anni Novanta i vertici di quell’epoca, Biagio Agnes, Ernesto Pascale e Vito Gamberale manager di altissima qualità, sostituendoli o con uomini della finanza o con personaggi inadeguati sul piano manageriale e di settore.
E il destino di Telecom, da allora in poi, si è snodato lungo lo stesso identico filo, quello di acquisti a debito che venivano poi scaricati sulla società e di fusioni e scissioni che avevano l’unico vantaggio o di nascondere un po’ di debiti o di far fare un po’ di quattrini ai soliti noti. Una storia che potremmo definire “criminale” anche perché accompagnata da un grande scandalo, quello legato alla Seat-Pagine gialle con una plusvalenza in 30 mesi di 7miliardi di euro che hanno preso strade ancora oggi poco chiare.
A questo punto una domanda si impone, davvero la politica oggi deve solo stare a guardare? Noi crediamo di no! Siamo stati giustamente critici verso la cessione ai cinesi del 35% della Cdp Reti, che ha dentro la pancia il 30% di Snam gas (gruppo Eni) e di Terna, ritenendo la Cdp ancora priva di una chiara missione nazionale sembrando più tesa a un protagonismo fine a se stesso che non a una strategia industriale per il paese. Beh, questa è l’occasione per smentirci e saremmo i primi a prenderne atto.
Il governo faccia un’opera di moral suasion verso Generali, Intesa e la stessa Mediobanca e faccia vendere le loro quote alla Cdp Reti con dentro i cinesi in maniera da riavere nelle proprie mani il controllo della Telecom e con essa discutere con il governo francese il riassetto delle loro partecipazioni nel settore delle telecomunicazioni. I cinesi non potrebbero che essere d'accordo partecipando a un grande player industriale in un settore strategico come quello delle telecomunicazioni.
L’Italia avrebbe così uno strumento per fare politica industriale non solo in Europa e in Sudamerica, ma anche nell’estremo oriente in un settore che con la banda larga intercetterebbe interessi diversi a cominciare da tutti i nuovi servizi alle imprese per finire alle televisioni e ai loro contenuti. Diversamente avrebbero ragione i vecchi borbonici, Francia o Spagna basta che se magna!
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