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Estratto dell’articolo di Alessandro Barbera e Gianluca Paolucci per “La Stampa”
Sullo sfondo dell'ultimo grande riassetto della finanza italiana c'è una partita che dovrebbe interessare molto più concretamente la politica: il destino del risparmio gestito degli italiani.
«Altro che Golden power per evitare la scalata di Unicredit, è questa la vera posta in gioco», commenta uno dei protagonisti coinvolti nelle trattative che stiamo per raccontarvi.
Ai primi di novembre, qualche giorno prima di acquistare con il beneplacito del Tesoro il cinque per cento del Monte dei Paschi di Siena, i vertici di Banco Bpm mettono sul tavolo un'offerta pubblica per Anima, una società che gestisce duecento miliardi di euro e distribuisce fondi d'investimento attraverso le reti della stessa Bpm, Monte dei Paschi e Poste Italiane.
Nel pieno del caos innescato dall'offerta successiva di Unicredit per lo stesso Banco Bpm, il Financial Times - il giornale più letto dalla comunità finanziaria mondiale - racconta di una trattativa in corso tra Generali e il gruppo francese Natixis per combinare i fondi del gruppo assicurativo italiano con quelli della società di gestione transalpina.
Per inciso: Natixis è controllata dal Gruppo Bpce - acronimo di Groupe des Banques Populaires et des Caisses d'Epargne - la terza banca di Francia nata nel 2009 dalla fusione dell'universo delle vecchie casse di risparmio e banche popolari.
A Generali, tramite la controllata Generali Investments, fanno capo 800 miliardi di euro di partecipazioni. Natixis è ancora più grande: vale 1.200 miliardi. La joint venture fra le due realtà - così promette chi ci sta lavorando - porterebbe alla nascita di un colosso europeo che verrebbe gestito in maniera paritetica da italiani e francesi. Come però è difficile dirlo, poiché la stessa Generali Investments controllerebbe il 42 per cento del nuovo soggetto, in quanto il 16 per cento è oggi in mano altro fondo di investimento, Cathay.
Anche l'ipotesi di fusione fra Unicredit e Banco Bpm chiama in causa gli interessi della finanza francese. E non solo poiché Crédit Agricole […] è il primo azionista di Bpm con il dieci per cento delle azioni. Il gruppo guidato da Andrea Orcel ha una partnership con un altro grande soggetto del risparmio gestito, Amundi, il più grande in Europa.
Amundi nasce nel 2010 dalla fusione tra le attività di gestione patrimoniale di Crédit Agricole e Société Générale. Ebbene, l'accordo fra Unicredit e Amundi oggi permette a quest'ultimo di distribuire i suoi prodotti nella rete di Unicredit, dalla quale - a quel tempo il numero uno era il francese Jean Pierre Mustier - aveva già acquistato i fondi di Pioneer.
Grazie agli accordi con Unicredit, Amundi oggi gestisce in Italia un patrimonio che supera i 220 miliardi. Nelle prossime settimane Orcel dovrà incontrare i vertici di Credit Agricole per rinnovare gli accordi in scadenza alla fine del 2025. A Milano molti raccontano che una delle ragioni che ha spinto Orcel ad accelerare l'offerta su Banco Bpm sarebbe stata la decisione dell'Agricole di rafforzare il suo pacchetto di controllo sulla stessa Bpm. La vicenda dell'accordo sul risparmio gestito da Amundi spiega due volte il perché di tanta fretta: il potere contrattuale del manager romano verso i francesi dipenderà molto dall'esito dell'offerta su Bpm.
[…]
A microfoni spenti, ammettono che il risiko di queste settimane ha contorni meno chiari e meno rassicuranti della mera difesa degli sportelli della lombarda Banco Bpm. Dice una fonte sotto la garanzia dell'anonimato: «Una delle ragioni che ci ha spinto al sostegno ad un terzo polo bancario fra Mps e Banco Bpm nasce da questa consapevolezza».
Resta da capire se l'interesse nazionale sia più tutelato da questa ipotesi o dalla fusione fra la stessa Bpm e Unicredit, seconda banca italiana, la quarta dell'area dell'euro.
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