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Paola Pollo per “Liberi tutti - Corriere della Sera”
In due mesi ha disegnato una strepitosa collezione maschile per Louis Vuitton. In 5 anni ha fatto della sua Off White la griffe di riferimento degli under 30, e non solo. In due lustri da 500 dollari al mese (tanto guadagnava con «l' amico» Kanye West in Fendi nel 2006) è arrivato a parecchi zero di stipendio. Una delle sue sneaker «introvabile» può schizzare da 120 a 2000 dollari. Virgil Abloh, il fenomeno, dall' Illinois. Classe 1980, lauree in architettura e ingegneria. Sposato con Shannon, una ragazza delle sue parti. Due figli. Una testa che va in accelerazione.
Dall' Illinois a Parigi, quanta strada.
«È bellissimo, mi dà speranza. Ma anche le speranze non durano molto. Devi capire i segni. Il mio è stato vedere che un giorno i designer sarebbero venuti da tutto il mondo. Un po' come un turista che incontra un purista. Il secondo dice al primo: "Vivo nella moda: non conosci questo? Non sai di chi è questa giacca? Ma dove vuoi andare?".
Il turista gli risponde: "Anche a me piace la moda e voglio entrarci, ma non mi abbattere solo perché non so". Ecco, io mi sento al centro di questa conversazione. Sono stato il purista, ho studiato la moda, tanto, ma ho capito che non sarei mai arrivato a tutti, così sono diventato anche un turista. Da giovane ero una spugna. Assorbivo cultura. Che fossero lo skateboard, la moda, i graffiti, l' arte, i dj. Oggi sono ancora lo stesso affamato diciassettenne ottimista, che cerca ispirazioni ovunque. Non cercherò mai di essere superiore a quel ragazzo: è da lui che arriva la mia creatività».
Perché non un architetto o un ingegnere?
«Troppa lentezza, troppa noia: dieci anni per costruire un edificio! Io faccio un miliardo di cose alla volta. Pensavo di essere un complessato da lavoro, ma poi ho letto di Karl Lagerfeld e Steve Jobs e Michael Jordan...Ma devi continuare ad essere una brava persona, se no la negatività finisce per distruggerti».
Lei e Kanye West, insieme sin dall' inizio, a Parigi entrambi in lacrime.
«Ci conosciamo da 15 anni, veniamo dallo stesso posto, con le stesse ambizioni: entrambi affamati di informazioni, identica etica sul lavoro, ci diamo come pazzi. Una bellissima sintonia creativa. Lui sovraesposto e io discreto? Ma lui deve riempire gli stadi: è uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi, non può nascondersi! Mentre io sono uno stilista. Non credo che la gente conosca il volto di più di dieci designer! In più non amo stare al centro dell' attenzione. Ho voluto che Nike fosse la mia faccia, poi Off White e ora Louis Vuitton».
Ma se è un idolo dei giovani!
«È capitato per sbaglio. Con i telefoni e la rete, i confini tra privacy e mondo si confondono. Ma l' ho accettato: non puoi volere una collaborazione come Louis Vuitton pensando di passare inosservato».
Il denaro per lei è?
«Non so neanche quanto ne abbia in banca. Non lo guardo da 10 anni. Finché ho libertà, va bene. A me interessa lasciarlo ai miei figli quando morirò. Mentre vivo voglio fare cose per il mio animo creativo, mi appaga più dei soldi».
La chiamano «l' outsider».
«Perché non assomiglio allo stilista classico, non sono andato alla Saint Martins e non ho lavorato sotto nessuno. Il che mi va bene. Il fatto che fossi un outsider è ciò che mi ha dato l' energia. Sono felice: da insider non sarei mai andato nella stessa direzione. Ora lo considero un complimento. Poi, comunque, sono un ottimista: per me il bicchiere è sempre mezzo pieno. Il fatto che io sia qui, significa che la moda sta cambiando, è diventata più inclusiva. Sono stato il segno mandato nel 2018. Come quando Obama vinse le elezione: fu pazzesco. Speriamo solo di migliorare ora questo mondo».
Come ha capito che lo street wear sarebbe diventato la moda?
«Ho scommesso su una cosa in cui ero cresciuto. È stato come vedere un tavolo vuoto dove nessuno lavorava, così mi ci sono seduto e mi sono impegnato. Quando stavo diventando uno stilista, mi sono detto che non sarei cambiato: non sarei diventato francese con un vestito nero, né avrei finto di arrivare da Berlino con un dolcevita, per dire magari "da giovane ascoltavo l' hip hop". Avrebbe fatto ridere. Il mio brand era il mio curriculum. Tu indossi streetwear, io pure.
Ed è un fenomeno bellissimo. Quando ero più giovane le mamme vestivano con i tacchi e il resto e le figlie si ispiravano ai ragazzi e indossavano sneakers, jeans e magliette. Poi le prime dicevano alle seconde: "Mettiti qualcosa di più carino". Ora all' improvviso le due età si sono unite. Per me è questo lo streetwear. A me basta guardare fuori dalla finestra e vedere cosa indossano le persone per disegnare qualcosa. Così farò da Louis Vuitton».
Cosa è una sneaker?
«È una scarpa moderna, comoda. Come la tuta. Fa ridere, vero? È successo che, nel tempo, le persone hanno messo più enfasi nel stare comodi piuttosto che scomodi, il più vicino possibile all' essere nudi».
Chi è Abloh nella vita?
«Nessuno di speciale: una persona. Non c' è niente che mi renda diverso. Ho una moglie e due figli. Mi importa che loro vedano il mondo. Che è la grande cultura. E quando lo dico penso al Brunelleschi, a Michelangelo, al Rinascimento».
Il lusso?
«Significa celebrare qualcosa. Non deve essere un prezzo e basta, ci deve essere altro. Come la cultura democratica per lo streetwear».
Indossa una collana con scritto: revenge, vendetta.
«Un giovane amico stilista me l' ha dato. Raramente si fa, ma riconoscere e aiutare i designer nascenti è un dovere morale. E questa è, anche, ancora, la comunità dello street».
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