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Sara Bennewitz per “la Repubblica”
IL TESTAMENTO DI BERNARDO CAPROTTI
La congiuntura non è buona e Bernardo Caprotti non c'è più. Eppure Esselunga si appresta a chiudere il bilancio 2016 con risultati record sia a livello di ricavi - rispetto ai 7,3 miliardi del 2015 - sia di utili. Oggi è in agenda il cda che, tra le altre cose, dovrà esaminare i dati preliminari dello scorso esercizio. E forse rinfrancata dall' andamento molto positivo, Marina Caprotti, erede universale insieme alla madre del 70% di Supermarket Italiani, sembrerebbe determinata a proseguire l' attività di famiglia col marito Francesco Moncada.
Al suo fianco ci sarebbero l' ad Carlo Salza e Germana Chiodi, storica dirigente diventata milionaria, grazie ai lasciti di Caprotti. Sembra invece di diverso avviso la moglie Giuliana Albera che, seguendo alla lettera il testamento del marito, sembrerebbe orientata a intraprendere per gradi un processo di valorizzazione, magari con un disimpegno parziale della famiglia, per affidare la gestione a un altro colosso del settore. Caprotti nel testamento era stato chiaro: «Ho preso una decisione di fondo per il bene di tutti, in primis delle decine di migliaia di persone i cui destini dipendono da noi».
E la decisione di Mr Esselunga era vendere l' azienda a chi la potesse gestire con un respiro internazionale. «La famiglia non ci sarà - proseguiva Bernardo -. E' troppo pesante condurla, pesantissimo "possederla"». L' imprenditore chiedeva infatti agli eredi, e quindi alla moglie e alla figlia Marina, di vendere allo straniero: «Occorre trovarle, quando i pessimi tempi italiani fossero migliorati, una collocazione internazionale».
Parole che nei mesi scorsi hanno indotto tutti i principali colossi esteri della grande distribuzione a sondare il terreno in casa Caprotti, ma che hanno incontrato le resistenze da parte di Marina e un' apertura di Giuseppe e Violetta, i figli del primo matrimonio dell' imprenditore, che peraltro sono gli unici ad aver avuto un ruolo gestionale nell' azienda di cui hanno ereditato il 15% ciascuno. Ma nessun compratore industriale è interessato a una quota di minoranza, pertanto senza il consenso di Marina, difficilmente si potrà avviare il processo di vendita tracciato dal fondatore.
Ugualmente per Marina e la madre non sarà facile gestire l'azienda senza l' appoggio di due soci padroni del 30%. Fatto sta che la diversa visione sul futuro di Esselunga, imporrebbe una liquidazione in famiglia. Solo che il valore di Esselunga e dell'immobiliare Villata (di cui Giuseppe e Violetta hanno il 22,5% ciascuno), stando alle offerte non vincolanti ricevute a fine 2016, varrebbe tra 5 e 6 miliardi, e quindi circa un miliardo a testa per Giuseppe e Violetta.
Secondo fonti finanziarie, caricare Esselunga e l'immobiliare proprietaria dei supermercati di una simile mole di debiti significherebbe esporre l'azienda a un rischio troppo alto, soprattutto in una fase economica delicata e in un momento di discontinuità gestionale. Inoltre al momento non risulta che Giuseppe e Violetta abbiano "accettato" l' eredità, il che lascia pensare che i fratelli di primo letto lascino la porta aperta per contestare la consistenza del patrimonio del padre, e valutare possibili cause nel caso in cui venisse riscontrato che c' è stata una lesione della legittima oppure che vengano trovati altri fondi.
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