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Angela Manganaro per “IlSole24ore.com”
Quando nel maggio 2012, Mark Zuckerberg fece il suo miliardario ingresso in Borsa con l’azienda tech che ha dominato l’ultimo decennio, Warren Buffett, l’ottantenne investitore che indovina sempre le previsioni per questo soprannominato oracolo di Omaha, disse: è una storia fantastica «ma se dovessi investire in Facebook, i medici mi ricovererebbero».
La battuta fece il giro dei blog finanziari. A lungo Buffett si è tenuto lontano dal mondo tech, nei mesi della febbre per la quotazione di Facebook investiva in stampa locale: 142 milioni di dollari per 63 quotidiani del gruppo Media General.
WARREN BUFFETT ARRIVA ALLA ALLEN CONFERENCE jpeg
Fece dunque notizia quando nel maggio 2013 debuttò su Twitter col subito popolarissimo post «Warren is in the house». La sua avversione verso le aziende tecnologiche era nota. Anni prima nel 1999, rimase famosa una sua uscita alla Sun Valley technology conference, quando lamentò quanto fossero sovrastimate le aziende tech, come al solito aveva ragione perché di lì a poco scoppiò la bolla del dot com.
Oggi il magnate di Berkshire Hathaway non solo punta un miliardo su Apple ma pare metterà soldi anche nell’indebitato e moribondo portale Yahoo! perché il suo amico Dan Gilbert, del fondo Quicken Loans, ha fatto un’offerta.
«Yahoo! - ha detto Buffett a Cnbc - non è il tipo di azienda di cui mi piace assumere quote di partecipazione. Non conosco quello che fa e non saprei come stimarla. Ma se Dan ha bisogno di un finanziamento, e i termini e le garanzie sono convenienti, siamo pronti ad aiutarlo». Gli addetti ai lavori si sono subito chiesti se l’appoggio di Buffett riuscirà dove tutti hanno fallito, intanto oggi a Wall Street il titolo di Yahoo! è in rialzo di oltre il 3 per cento.
Adesso come in passato Buffett continua a dire la stessa cosa, è un mondo che non capisce, ma a volte il più parsimonioso dei miliardari americani si avventura: nel 2011 investì 14 miliardi in IBM, un affare che sulla carta sembrava simile ad Apple per l’estrema liquidità della compagnia; era un business, disse, che capiva meglio di Google o Apple. Un scelta comunque conservatrice che non pagò: dopo la scommessa dell’oracolo, le azioni di IBM persero il 21 per cento del valore.
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