Pietrangelo Buttafuoco per “il Tempo”
pietrangelo buttafuoco
Silvio Berlusconi non è politicamente debole. Semplicemente non c’è, o forse è un altro quello che va in giro. Il vero Berlusconi, infatti – un capolavoro di simpatia, charme e stile – non avrebbe mai sporcato la propria immagine con un raggelante atto di maleducazione: negare la stretta di mano a Giuseppe Conte, il Presidente del Consiglio, in un incontro al Quirinale.
O chissà da chi è consigliato, se è lui. Intorno a lui ci sono solo cerberi interessati a spillargli altri soldi, e altre prebende: damine del buon garbo atterrite ormai dall’imminente conclusione di una raggiante stagione. È fi-ni-ta, dunque. E lui non è più lui se rinuncia al suo sorriso.
Non lo è quando nei corridoi de La7 ancora resta il ricordo di una sua fantastica alzata d’ingegno: andare incontro ad Antonio Ingroia, suo acerrimo nemico – l’ex Pm della trattativa Stato-Mafia lanciato in campagna elettorale – per offrirgli i polsi incrociati, pronto a farsi ammanettare. Con tanto di scatto fotografico conseguente: entrambi, galeotto e guardiano, presi dal gran ridere. E dal saper vivere.
BERLUSCONI FINGE DI NON VEDERE CONTE E NON LO SALUTA
La storia di Silvio Berlusconi è innanzitutto un grande romanzo di stile, perfino quando un matto gli scaglia in faccia un modellino del Duomo di Milano, fino a sfregiarlo, pur nello spavento si offre sanguinante con l’espressione della sorpresa – possibile mai una cosa così? – e non con l’odio, non con il rancore.
E non può essere lui uno che mastica amaro, impossibile con tutto il sole tenuto in tasca, con quella malia degna del miglior intrattenitore quando – e chi potrà mai dimenticare la sua discesa in campo – agguanta un microfono, e sembra Frank Sinatra, altro che Alcide De Gasperi, per dire: “Ecco l’Italia che amo”.
BERLUSCONI FINGE DI NON VEDERE CONTE E NON LO SALUTA
Se davvero era lui quello dell’altra sera al Quirinale, e non un suo sosia, di certo avrà già mandato un biglietto a Conte per scusarsi. Proprio Berlusconi, per tanto tempo considerato un estraneo dall’establishment – additato come il reietto da tutti i salotti buoni – giusto lui che ha gran collezione di strette di mano negate da tronfi fanfaroni di potere, non può adesso usare la stessa moneta con altri reietti, altri cui i salotti altolocati elargiscono disprezzo.
Gli dicevano che non era un Gianni Agnelli, lui; gli imputavano l’eccesso di plastica, l’elisir d’amore donizettiano, la liberalità pacchiana di Romolo e “Remolo”, le farfalline al collo delle giornaliste devote quando invece, in lui, s’inverava quello che i gruppettari traghettati nell’élite non hanno mai saputo fare: la fantasia al potere. Ma non può essere stato lui, appunto: sarà stato un clone, sarà quella sorta di Breznev di tanto in tanto esibito cui si aggrappano i botoli radunati nel cortile di palazzo Grazioli per averne una qualunque utilità.
berlusconi ingroia
Ancora un poco di ossigeno per quel che fu Forza Italia ma col rischio di sfregiare – altro che il lanciatore di modellini – la storia di questo incredibile totem del buonumore, già vendicatore dell’italiano medio, quello stesso che oggi trova scudo, riparo e fortezza presso coloro i quali, per il finto Berlusconi di cui sopra, non sono manco buoni per pulire i cessi.