AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO…
Estratto dell’articolo di Valerio Benedetti per “La Verità”
[…] Il noto gruppo Vice media, colosso dei media digitali nato dalla rivista Vice, ha presentato istanza di fallimento. In sostanza, uno dei massimi santuari dell’ideologia woke è finito in bancarotta. E stiamo parlando, appunto, di un gigante che nel 2017, ai tempi d’oro, valeva la bellezza di 5,7 miliardi di dollari. Un gigante dai piedi di argilla, però.
Con ben 800 milioni di passivo, infatti, oggi il gruppo può essere rilevato a prezzo di saldo: per ora, si parla di un’offerta di 225 milioni di dollari. Che è comunque una cifra di tutto rispetto, certo, ma noccioline rispetto al valore di pochi anni fa.
Il gruppo Vice media, che oltre alla testata madre comprende anche Motherboard, affonda le sue radici nel lontano 1994, quando in Canada Shane Smith e Gavin McInnes fondarono per hobby Voice of Montreal, una piccola fanzine che si rivolgeva esplicitamente al pubblico giovanile. Da lì sarebbe nata la rivista Vice vera e propria che, in pochi anni, ha raggiunto un’enorme popolarità […], con un taglio che potremmo definire «hipster-alternativo».
In breve tempo, il suo stile è diventato un marchio di fabbrica. Probabilmente, navigando su Internet, vi sarà capitato almeno una volta di imbattervi in inchieste del tipo «Sono andato a letto con la mia migliore amica: ecco com’è andata». Questo è esattamente quello che in gergo giornalistico è detto un «titolo alla Vice».
La rivista è quindi cresciuta esponenzialmente negli anni, aprendo numerose sedi sparse per tutto il mondo (Vice Italia, che fa base a Milano, ha aperto i battenti nel 2006). E così, in una fase di forte espansione, è nato anche il gruppo Vice media, che si è arricchito di un proprio studio di produzione cinematografica e di un’etichetta discografica. Molto popolari, ad esempio, erano i documentari di Vice realizzati per la celebre emittente statunitense Hbo, attirando inoltre l’interesse di altri colossi come Disney e Fox, che hanno investito nel gruppo diversi milioni di dollari.
Negli ultimi anni, tuttavia, la testata si è sempre più attestata su posizioni smaccatamente woke, tanto da diventare una sorta di sacra scrittura del politicamente corretto. E, come tutte le altre piattaforme che si sono lanciate in questa crociata, anche Vice ha dovuto pagare il conto. Salatissimo. Del resto, 800 milioni di debito non sono proprio bruscolini.
Dopo ridimensionamenti, tagli e licenziamenti, alla fine i sedicenti «alternativi» hanno dovuto mandare i libri in tribunale (Nancy Dubuc, amministratore delegato del gruppo, aveva abbandonato la nave già lo scorso febbraio). Con ogni probabilità, il gruppo finirà nelle mani dei creditori di maggioranza, ossia Fortress Investment, Monroe Capital e il fondo d’investimento del controverso finanziere George Soros. D’altronde, il boss della Open society, oltre a foraggiare Ong immigrazioniste, rivoluzioni colorate e partiti politici (come +Europa di Emma Bonino), ha sempre avuto un gran fiuto per tutte quelle produzioni che odorano di progressismo liberal. E i cordoni della borsa li ha sempre aperti più che volentieri. […]
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