Alessandro Fulloni per il “Corriere della Sera”
ivan luca vavassori e alessandra sgarella
«Ivan Luca sta bene. So solo questo: che sta bene. Ma preferisco non aggiungere altro...». Clic.
Pietro Vavassori, 70 anni, titolare dell'Italsempione, importante azienda lombarda nel settore della logistica, al telefono ha una voce risollevata ed è inutile stare a chiedergli di più.
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Suo figlio è uno degli italiani andato a combattere in Ucraina, volontario. Da tre giorni non c'erano più notizie di questo trentenne giramondo, manager e portiere di calcio arrivato a giocare in Lega Pro.
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Ma poi in qualche modo è riuscito a far sapere al padre «di essere vivo», seppure «circondato dalle truppe russe - è il racconto aggiunto sul suo profilo TikTok - arrivate a un chilometro da noi. Abbiamo avuto diversi scontri, abbiamo dei feriti. Loro contano due morti»».
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Ivan Luca è il figlio adottivo, di origine russa, di Pietro e di sua moglie Alessandra Sgarella, sequestrata dalla 'ndrangheta. Era la sera dell'11 dicembre 1997 e la donna, allora quarantenne, venne rapita nel cortile di casa a Milano.
Restò nelle mani dei banditi per circa dieci mesi, nella Locride. Se trovò le forze per aggrapparsi alla vita fu anche per le lettere, «anzi le favole», che scriveva per Ivan Luca, il bimbo che stava per adottare, in arrivo da Elektrostal, vicino a Mosca.
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A dirlo durante il processo che portò alla condanna di quasi tutti i rapitori, fu proprio suo marito Pietro: «Credo che sapere che sarebbe diventata mamma, e lo seppe proprio il giorno prima del rapimento, le abbia dato la forza di resistere».
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Alessandra morì poi il 27 agosto 2011 per una malattia. Quel giorno, mentre stava chiudendo gli occhi, fecero a tempo a raccontarle che l'ultimo componente della banda, il latitante Francesco Perre, era stato arrestato poche ore prima in Aspromonte durante un blitz dei carabinieri.
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Sino a qualche settimana fa suo figlio Ivan Luca (ha raccontato il Giorno) era in Bolivia, dove stava allenandosi con il Real Santa Cruz, sperando in un ingaggio come portiere di calcio.
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Però, «non volendo stare a guardare», ha preso la decisione di partire per l'Ucraina, comunicandola con un video su TikTok, il 28 febbraio. «Avrei immaginato di fare tutto nella vita ma mai di tornare a mettermi l'uniforme» ha scritto accompagnando le parole con immagini di soldati, dai volti pixelati, della Legione straniera francese.
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In un successivo video, il 3 marzo, racconta di essere abile e arruolato: dall'ambasciata di Kiev in Italia è arrivato il «via libera» per entrare nella «Legione di difesa internazionale ucraina» che avrebbe già raccolto - stando a numeri forniti dal Paese invaso dai russi - «20.000 richieste da veterani e volontari di 52 Paesi».
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Gli aggiornamenti sui social postati da Ivan Luca sono un diario dal fronte. C'è la partenza per la Polonia, poi una trattativa con l'Esercito ucraino che pretende una ferma sino alla fine della guerra.
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I volontari scuotono il capo ma partono lo stesso per Kiev, in treno e su un bus che si fa largo tra la fiumana di profughi diretti a Ovest. Ci sono le armi da recuperare, «qualcosa troveremo o ci venderanno».
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Però recuperano ben poco, vecchi kalashnikov e «arnesi della Seconda guerra mondiale». Nei primi video, uno con la colonna sonora del film Platoon, il suo volto è fiducioso. Ma nell'ultimo, già scaraventato in prima linea e «con cinque dei nostri che hanno abbandonato», è un indurito veterano: «Combattiamo da ore, i russi sono dappertutto».
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